(Siciliani)
Papa Francesco ha presieduto la Via Crucis al Colosseo, momento culminante del Venerdì Santo con sui si fa memoria della via dolorosa percorsa da Cristo per essere crocifisso sul Golgota. Le meditazioni "al femminile" sono state scritte dalla biblista Anne-Marie Pelletier
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La preghiera di Papa Francesco al termine della Via Crucis
"O Cristo, lasciato solo e tradito perfino dai tuoi e venduto a basso prezzo; o Cristo, giudicato dai peccatori e consegnato dai capi; o Cristo straziato nelle carni, incoronato di spine vestito di porpora; o Cristo, schiaffeggiato e atrocemente inchiodato; o Cristo trafitto dalla lancia che ha squarciato il tuo cuore; o Cristo morto e seppellito, tu che sei il Dio della vita e dell'esistenza; o Cristo, nostro unico salvatore, torniamo a te anche quest'anno con gli occhi abbassati di vergogna e con il cuore pieno di speranza".
"Di vergogna - ha continuato - per tutte le immagini di devastazione, di distruzione e di naufragio che sono diventate ordinarie nella nostra vita. Vergogna per il sangue innocente che quotidianamente viene versato di donne, di bambini, di immigrati e di persone perseguitate per il colore della loro pelle, oppure per la loro appartenenza etnica e sociale e per la loro fede in te. Vergogna per le troppe volte che, come Giuda e Pietro, ti abbiamo venduto e tradito, e lasciato solo a morire per i nostri peccati, scappando da codardi dalle nostre responsabilità. Vergogna per il nostro silenzio dinanzi alle ingiustizie, per le nostre mani pigre nel dare e avide nello strappare e nel conquistare".
"Per la nostra voce squillante nel difendere i nostri interessi e timida nel parlare di quelli altrui - è andato avanti -. Per i nostri piedi veloci sulla via del male e paralizzati su quella del bene". "Vergogna per tutte le volte che noi vescovi, sacerdoti, consacrati e consacrate, abbiamo scandalizzato e ferito il tuo corpo, la Chiesa, e abbiamo dimenticato il nostro primo amore, il nostro primo entusiasmo e la nostra totale disponibilità, lasciando arrugginire il nostro cuore e la nostra consacrazione".
"Tanta vergogna Signore - ha poi aggiunto - ma il nostro cuore è pieno della speranza fiduciosa che tu non ci tratti secondo i nostri meriti ma unicamente seconda l'abbondanza della tua misericordia. Che i nostri tradimenti non facciano venire meno l'immensità del tuo amore, che il tuo cuore materno e paterno non ci dimentichi per la durezza delle nostre viscere. Speranza, la speranza sicura che i nostri nomi sono incisi nel tuo cuore e che siamo collocati nella pupilla dei tuoi occhi".
"La speranza - ha detto ancora Francesco - che la tua croce trasformi i nostri cuori induriti in cuori di carne capaci di sognare di perdonare e di amare. Trasforma questa notte tenebrosa della tua croce in alba folgorante della tua resurrezione. La speranza che la tua fedeltà non si basa sulla nostra, la speranza che la schiera di uomini e donne fedeli alla tua croce continua e continuerà a vivere fedeli come lievito che dà sapore e come la luce che apre nuovi orizzonti nel corpo della nostra umanità ferita. La speranza che la tua Chiesa cercherà di essere la tua voce che grida nel deserto dell'umanità per preparare la strada del tuo ritorno trionfale
quando verrai a giudicare i vivi e i morti. La speranza che il bene vincerà nonostante la sua apparente sconfitta".
"O Signore Gesù - ha concluso il Papa -, figlio di Dio, vittima innocente del nostro riscatto dinanzi al tuo vessillo regale e al tuo mistero di morte e di gloria, dinanzi al tuo patibolo ci inginocchiamo invergognati e speranzosi e ti chiediamo di lavarci nel lavacro del sangue e dell'acqua che uscirono dal tuo cuore squarciato. Di perdonare i nostri peccati e le nostre colpe. Ti chiediamo di ricordarti dei nostri fratelli stroncati dalla violenza, dall'indifferenza e dalla guerra".
"Ti chiediamo di spezzare le catene che ci tengono prigionieri nel nostro egoismo, nella nostra cecità volontaria e nella vanità dei nostri calcoli mondani. O Cristo, ti chiediamo di insegnarci a non vergognarci mai della tua croce, a non strumentalizzarla, ma di onorarla e di adorarla perché con essa tu ci hai manifestato la mostruosità dei nostri peccati, la grandezza del tuo amore, l'ingiustizia dei nostri giudizi e la potenza della tua misericordia. Amen".
La Via Crucis
(di Mimmo Muolo) Via crucis sullo scenario della cronaca. Come se il Colosseo e i ruderi dell’antica Roma intorno all’anfiteatro più famoso della Terra fossero una sorta di mappamondo del dolore. Che però non è senza speranza. «O croce di Cristo, insegnaci che l’alba del sole è più forte dell’oscurità della notte, e che l’amore eterno di Dio vince sempre», scrive il Papa in un tweet, poco prima dell’inizio. Poi si raccoglie in silenziosa preghiera, guardando quel piccolo pezzo di legno avanzare tra le fiaccole e le preghiere di migliaia di presenti, insieme ai "poveri Cristi" del terzo millennio, evocati dalle meditazioni della biblista francese Anne-Marie Pellettier, e ai "cirenei" invitati a portarla nella tiepida serata romana.
Dopo il cardinale vicario, Agostino Vallini alla prima Stazione (la riprenderà all’ultima), si danno il cambio una famiglia romana (con la mamma che ha in braccio una bimba), rappresentanti dell’Unitalsi (tra i quali un disabile in carrozzina, Antonino Tuzzolino) e religiosi e laici di diversi Paesi. L’Egitto colpito dalla recente strage della Domenica delle Palme, il Portogallo e Colombia dove il Papa si recherà in visita. E ancora, il Congo dei conflitti dimenticati ma non meno sanguinosi, la Cina verso cui la mano del Papa è sempre tesa, la Francia colpita più volte dal terrorismo, Israele e l’Argentina, rappresentati da due Frati di Terra Santa. La Terra di Gesù, appunto, che riassume tutte le tragedie del nostro mondo.
Persone, volti, storie che si intrecciano in questa Via Crucis del Venerdì Santo. E che i testi al femminile delle meditazioni (Pellettier vi ha trasfuso anche la sua sensibilità di madre e nonna) sottolineano in maniera particolare, soffermandosi ad esempio sui «bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati, sotto tutti i cieli». «C’è il pianto delle donne (settima Stazione) che non manca mai in questo mondo». C’è «il pianto dei bambini terrorizzati, dei feriti nei campi di battaglia, che invocano una madre, pianto solitario dei malati e dei morenti sulla soglia dell’ignoto».
C’è «tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti». In sostanza «tante lacrime, tanta miseria nel calice che il Figlio beve per noi» (parole dell’Introduzione). Soprattutto, però, nel susseguirsi delle 14 stazioni viene in primo piano la misericordia di Dio. Quelle lacrime annota infatti la biblista francese, «non vanno perdute nell’oceano del tempo, ma sono raccolte da lui, per essere trasfigurate nel mistero di un amore in cui il male è inghiottito». «Era necessario (nona Stazione) che la dolcezza di Dio visitasse il nostro inferno, era l’unico modo per liberarci dal male». E così (quinta stazione) Dio è «pronto a scendere fino a noi, ancora più giù se necessario, così che nessuno si perda nei bassifondi della propria miseria».
Il rito, iniziato dopo le 21, si protrae per oltre un’ora. Francesco – che all’arrivo aveva preso posto sulla terrazza della collina Velia di fronte all’Anfiteatro e si era intrattenuto per qualche minuto a colloquio con la sindaca di Roma, Virginia Raggi – segue tutto in silenzio. "Sfilano" così sotto i suoi occhi le persone di cui si parla nei brani del Vangelo che vengono letti in corrispondenza delle diverse stazioni. Particolare forza ha la meditazione dedicata alla Madonna. «La lama che trafigge il fianco del Figlio trafigge anche il cuore di lei. Anche Maria s’immerge nella fiducia senza appoggio, in cui Gesù vive fino in fondo l’obbedienza al Padre».
Ma ognuna delle figure citate riconduce ai tempi nostri. Via crucis sullo scenario della storia recente, oltre che della cronaca. C’è il pastore Dietrich Bonhoeffer morto in un lager nazista nella decima Stazione («soltanto un Dio debole può salvarci»); c’è il filosofo greco contemporaneo Christos Yannaras nell’ottava che sottolinea lo spogliarsi di Dio nel dono della vita; c’è l’ebrea Etty Hillesum nella settima, «rimasta in piedi nella tempesta della persecuzione nazista, che difese fino all’ultimo la bontà della vita». E infine c’è il ricordo della strage dei sette trappisti di Tibhirine, in Algeria, con la loro duplice preghiera: "Disarmali" e "Disarmaci". Un ricordo di martirio quanto mai attuale.
In silenzio, com’era iniziata, la Via Crucis si conclude sull’immagine di Gesù nel sepolcro. L’attesa e la speranza partono da lì. Ma fin d’ora c’è la certezza: «Egli non ha portato la croce come un trofeo – scrive Pellettier – e non somiglia in nulla agli eroi della nostra fantasia che abbattono trionfanti i loro mavagi nemici». Ma la sua vittoria è definitiva.