venerdì 18 settembre 2015
L’arcivescovo di Perugia: ma rendiamo la società di oggi a misura di famiglia. La fragilità non è solo il momento in cui si esprimono i limiti dell’uomo ma è soprattutto il luogo della grazia.
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Da pastore con l’odore delle pecore, il cardinale Gualtiero Bassetti si dice sicuro che il Sinodo dei vescovi, al via fra pochi giorni, affronterà «la famiglia non in astratto, ma come realmente è». Perché, aggiunge l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, essa è «la cellula fondante, bellissima e fragile, di un corpo sociale sempre più sfibrato e caratterizzato, da un lato, da una cultura individualista a tratti esasperata che colpisce ogni forma di relazione umana e, dall’altro lato, da una cultura dello scarto che emargina tutto ciò che non è utile». Eminenza, sono tante le aspettative intorno alle decisioni che saranno prese dal Sinodo. Da parte di numerose famiglie si coglie un desiderio di possibili buone notizie, di rinnovato slancio. Che cosa c’è da attendersi?Innanzitutto, bisogna attendere il Sinodo con grande fiducia. Una fiducia piena nei confronti della Chiesa che, come una madre, si prenderà cura dei propri figli con amore e premura, e una «fede retta e una speranza certa», come diceva san Francesco quando pregava davanti al crocifisso, nell’azione dello Spirito Santo che ispirerà i padri sinodali ad operare per il bene della famiglia. In secondo luogo, bisogna attendersi un grande sforzo di discernimento pastorale per valorizzare compiutamente la vocazione e la straordinaria bellezza della famiglia. Alcuni anni fa, da vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, scrissi che la famiglia rappresenta «un amore per sempre che salverà il mondo». Ecco, sarà fondamentale valorizzare questo «amore»: ovvero la formidabile testimonianza di fede che la famiglia è in grado di dare al mondo contemporaneo, evidenziando tutti i talenti che essa possiede – la carità coniugale e l’amore sponsale, il sacramento e lo spirito di donazione, la vita comunitaria e il primo annuncio del Vangelo, lo sforzo educativo e la generatività – ma senza nascondere le ferite che l’affliggono. La famiglia è un ambito che le sta particolarmente a cuore come pastore. Oggi si parla sempre di più della fragilità dei nuclei familiari.La fragilità è un aspetto ineludibile, anzi, costitutivo della dimensione umana che il mondo d’oggi, però, asservito al mito dell’efficienza e a un’idolatria del benessere, tende a rimuovere. Ogni cristiano, invece, sa benissimo, che «l’uomo fragile» e «peccatore», come scriveva sant’Agostino, desidera lodare Dio perché è testimone di una promessa e sa a cosa è «destinato». La fragilità, dunque, non è solo il momento in cui si esprimono i limiti dell’uomo ma è soprattutto il luogo della grazia. La famiglia rispecchia tutti i limiti dell’uomo mostrando, per esempio, fragilità psicologiche e affettive, dalle debolezze educative i propri figli al dramma delle separazioni. In queste fragilità, indubbiamente, può agire la grazia di Dio attraverso la medicina della misericordia per tentare di integrare pastoralmente dentro la Chiesa tutti coloro che soffrono a causa delle proprie fragilità. Quali sono le sfide con cui le nostre famiglie fanno i conti oggi? Secondo me, sono almeno tre. La prima sfida risiede nelle difficoltà esistenziali di formare e di essere una famiglia. È una difficoltà che riguarda soprattutto, ma non solo, le giovani generazioni. Spesso vedo molte coppie indugiare, dubbiose e incredule che formare una famiglia sia una cosa bella e che, soprattutto, sia possibile formare una relazione per sempre. Cioè che sia possibile dar vita, con l’aiuto di Cristo, a un legame indissolubile per tutta la durata della vita. D’altra parte, le donne e gli uomini di oggi sono cresciuti in un contesto dove tutto viene consumato in modalità “usa e getta”, perfino le relazioni umane sembrano essere destinate a una sorta di scadenza prefissata come se fossero dei cibi in scatola. Molte persone, non tutte ovviamente, sembrano quasi aver paura del futuro. Vivono in un presente carico di ansia e in un passato nostalgico. Ma soprattutto sembrano aver smarrito la profondità del significato di amore – sminuendolo con la passione o con un ideale romantico – e per questo rimuovono dal loro orizzonte il progetto futuro di una vita coniugale indissolubile.Un progetto di vita che si scontra, come spesso ha denunciato Francesco, anche con la società contemporanea?Certamente. Questa, secondo me, è la seconda sfida: riuscire a rendere su misura per la famiglia la nostra società sempre più complessa e logorante. L’attuale faticosa civiltà urbana, come aveva già intuito Paolo VI, produce una serie di ostacoli oggettivi alla vita familiare: la precarizzazione del lavoro ferisce l’anima dei coniugi e impedisce di formare una base minima di stabilità alla famiglia; i ritmi ossessivi lavorativi producono una sorta di nevrosi sociale impedendo di avere del tempo da dedicare alla famiglia; la mobilità sociale rompe le tradizionali reti generazionali di mutua assistenza tra le famiglie, tra nonni e figli; e la donna, sempre più spesso racchiusa tra una maternità desiderata e un lavoro necessario, rischia di non comprendere più qual è il suo ruolo all’interno della famiglia e della società. Lo stesso ragionamento sull’identità può essere fatto, a rovescio, per l’uomo.La riflessione sui ruoli e sulle identità evoca uno dei grandi temi di discussione degli ultimi dieci anni: la questione antropologica e il rapporto uomo-donna. Quanto ha influito sulla famiglia?Ha influito moltissimo e – anche se bisogna fare delle puntualizzazioni – rappresenta secondo me la terza sfida per la famiglia. Una sfida culturale e spirituale che non nasce oggi e neanche negli ultimi dieci anni ma più di 50 anni fa. La famiglia, al di là della sua indubbia valenza ontologica, ha un suo sviluppo storico che risente delle tare e dei limiti della società in cui è immersa: pensiamo ai molti soprusi, non sanzionati dalla legge, che per molto tempo hanno subito le donne. Papa Montini aveva intuito il cambiamento epocale del mondo contemporaneo e forse anche per questo non venne capito. Il mutamento antropologico della nostra società è avvenuto da tempo. Solo adesso ce ne rendiamo conto.Non pensa che servano anche delle politiche che aiutino la famiglia? C’è indubbiamente necessità di politiche familiari degne di questo nome. Mi sembra che ci sia l’assoluto bisogno, soprattutto in Italia, di un welfare rinnovato che valorizzi – e non solo difenda – la famiglia. A partire da politiche di sostegno alla natalità, al lavoro dei coniugi, alla crescita creativa degli asili. E allo stesso tempo, politiche che sappiano difendere il principio della libertà di educazione nella società e nella scuola. Nelle scuole, in particolare, è fondamentale promuovere un’alleanza educativa tra famiglie e insegnanti.Sarà la misericordia, a cui tanto spazio dedica l’Instrumentum laboris,a preparare un nuovo clima di accoglienza e di “aperture”?Questo è indubbiamente il tempo della misericordia che non significa una ricetta a buon mercato fatta di buonismo o di concessioni gratuite. Papa Francesco ha indetto il Giubileo straordinario «come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti». Come non vedere in questa decisione una provocazione e un grande momento di evangelizzazione verso l’uomo contemporaneo? Verso un uomo che non vuole chiedere perdono e non sa più nemmeno perdonare, non solo perché ha perso il senso del divino e del peccato, ma perché è sopraffatto dall’indifferenza e dall’apatia. L’Instrumentum Laboris, riferendosi così spesso alla misericordia, non fa altro che riproporre la profezia del Concilio Vaticano II e lo spirito del Buon Samaritano che accoglie e non getta lo sguardo dall’altra parte. È fondamentale operare con tutte le nostre forze, come diceva Giorgio La Pira, per costruire ponti di dialogo e abbattere i muri di inimicizia. Perché il mondo, come ha scritto Francesco nella Laudato si’ «è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode».Più volte lei ha invitato a una pastorale familiare meno astratta. Che cosa vuol dire?Una pastorale meno astratta significa prendersi cura concretamente dei «bisogni umani», come ci ha insegnato il Vaticano II, e curare le ferite dell’uomo moderno. Per i corsi di preparazione al matrimonio serve profonda riflessione e forse anche di un necessario aggiornamento. Allo stesso modo è necessario sviluppare una pastorale che, senza negare la verità ma con misericordia, si prenda cura delle ferite delle persone separate, dei divorziati risposati e dei loro figli che troppo spesso portano il peso maggiore delle sofferenze. La Chiesa non può abbandonare i propri figli.  Ogni sforzo pastorale, però, non deve illudere e non può far dimenticare ai cristiani qual è la loro unica autentica missione in questa vita: essere il sale della terra. A quella sorta di “eutanasia dello spirito” provocata dalla diffusione di un’opulenza crassa e volgare e dalla diffusione di una mentalità che ha illuso l’uomo moderno di essere “il padrone del mondo”, i cristiani hanno solo una soluzione: l’annuncio del Vangelo. Magari in modo nuovo, ma sempre con gioia e carità.
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