Il vescovo latino di Kiev-Zhytomyr, Vitalii Kryvytskyi, con i bambini in una parrocchia - Avvenire
«Per un imperscrutabile disegno di Dio, sembra che la guerra non debba finire a breve. Ma così come è iniziata senza alcun plausibile motivo, altrettanto inaspettatamente potrebbe terminare. Il Signore ci può riservare sempre sorprese…». Le bombe, i lutti, la distruzione, la miseria non hanno scalfito la speranza in Ucraina. A farsene interprete è il vescovo latino di Kiev-Zhytomyr, Vitalii Kryvytskyi, alla vigilia dell’inizio dell’Avvento secondo il calendario romano. Nella Cattedrale di Sant’Alessandro rientra dopo l’ennesima tappa della sua visita alle parrocchie sparse su un territorio equivalente al nord Italia. «Serve essere accanto alle comunità che sono davvero provate», afferma il vescovo salesiano di 51 anni chiamato nel 2017 da papa Francesco a guidare la diocesi della capitale.
Il vescovo latino di Kiev-Zhytomyr, Vitalii Kryvytskyi - Gambassi
La chiesa è nel cuore della metropoli, a duecento metri da Maidan, la piazza che è stata il simbolo della rivolta di dieci anni fa contro le politiche filorusse e che oggi è una Spoon River del conflitto con centinaia di piccole bandiere gialloblù piantate nelle aiuole a ricordo di chi è caduto per difendere la patria. «Siamo un Paese ferito e insanguinato. I poveri sono raddoppiati dopo oltre seicento giorni di scontri», spiega. E, secondo un dato arrivato sulla scrivania del presule, i ricchi hanno visto triplicare i loro patrimoni. A dire che ogni guerra si porta con sé speculazione e corruzione. «I segni di stanchezza sono evidenti - prosegue Kryvytskyi -. E nessuno desidera la pace più di noi ucraini. La chiediamo ogni giorno nella preghiera che è la grande arma a disposizione dei credenti. Tuttavia pensare che “pace” significhi soltanto fermare i combattimenti o le bombe è demagogico. Ad oggi non vediamo passi decisivi della comunità internazionale per risolvere la situazione. Partendo da un assunto: la pace ha bisogno della giustizia».
È ciò che ripete il cardinale Matteo Zuppi: una «pace giusta». Eccellenza, come viene vista la missione che il Papa ha affidato al presidente della Cei?
Ho incontrato personalmente il cardinale Zuppi durante la sua visita a Kiev che è stata la prima sosta del suo pellegrinaggio di speranza. Gli ho presentato ciò che stiamo attraversando con verità. Come Chiesa in Ucraina lo accompagniamo con la preghiera. È comprensibile che non sia facile dialogare con interlocutori che hanno interessi così diversi.
Si riferisce al suo impegno “quadrangolare” fra Ucraina, Russia, Usa e Cina.
Lo vedo come un tentativo di coniugare gli elementi fondamentali della natura: terra, fuoco, acqua e aria. Per chi non crede, tutto ciò potrebbe apparire irrealizzabile. Con gli occhi della fede possiamo dire che la pace è un dono di Dio, il solo che può concederci la vera pace. Perciò ritengo che, se i semi gettati troveranno una terra buona, i frutti non mancheranno quando il Signore lo vorrà. Del resto è proprio della Chiesa fare tutto il possibile per fermare una guerra. Aggiungo che la comunità internazionale ha fiducia nel Papa e nelle autorità vaticane: ora tocca alla Russia dimostrarlo.
La prima neve a Kiev - Ansa
Si può pensare a un “cessate il fuoco” al prezzo di concessioni territoriali?
Congelare il conflitto sancendo lo status quo e perciò le occupazioni russe significherebbe affermare che la guerra è uno strumento lecito e legale per raggiungere i propri intenti. La storia degli ultimi dieci anni ci insegna che le aggressioni del Cremlino verso le quali si è chiuso un occhio per evitare escalation hanno prodotto altra guerra. Da qui la domanda: siamo sicuri che, se il conflitto venisse sospeso nelle condizioni attuali, non si avrebbero più morti? E ancora: che cosa succederà alla nostra gente nei territori occupati? La pace è urgente ma deve essere solida e duratura. Può essere accettabile un accordo che rimandi la “questione Ucraina” e non risolva ciò che l’invasione ha causato?
Il Papa continua a lanciare appelli per il «martoriato popolo ucraino».
Lo ringraziamo sentitamente. Perché ha a cuore il destino della gente. Eppure gran parte della popolazione ucraina non è conscia di quello che sta facendo per noi il Pontefice, perché sui media sono state enfatizzate alcune sue frasi che hanno lasciato perplessi. Come pastori siamo tenuti a far conoscere la prossimità del Papa e di tutta la Chiesa alla nostra tragedia e le azioni che continuano a essere compiute. Siamo anche grati alla Chiesa italiana che ci resta molto vicina non solo a parole ma con tanti tanti fatti.
C’è il timore che l’Occidente dimentichi l’Ucraina?
Talvolta si ha la sensazione che si intenda lasciare l’Ucraina al suo destino. Lo testimonia anche quanto accade con gli aiuti umanitari. Sono drasticamente diminuiti. E diversi benefattori ci hanno anticipato che non rinnoveranno il loro impegno. La situazione non è certamente migliorata dopo quasi due anni di guerra. Ridurre il sostegno umanitario vuol dire fare il gioco della Russia.
La distribuzione degli aiuti umanitari da parte di Caritas-Spes - Gambassi
Il Paese è in difficoltà?
Le necessità non sono cambiate dall’inizio dell’aggressione: dal cibo al vestiario. Poi mancano le medicine. E occorre farsi carico dei feriti e degli invalidi di guerra: ad esempio, ci servono le protesi. Inoltre la nostra economia è ormai fragilissima. Così come il sistema sanitario e quello educativo dopo i costanti bombardamenti. Con l’arrivo dell’inverno si ripropone l’emergenza energetica: la Russia ha già ripreso ad attaccare le infrastrutture essenziali per lasciarci al buio, al freddo e alla fame. E utilizzerà il gelo per sfiancarci.
È crollata anche la fiducia nelle istituzioni. Perché?
Si tratta di un processo naturale. In tempo di guerra il quadro cambia da un momento all’altro. La gente ha creduto a certe promesse politiche. La Russia puntava anche su questo, a incrinare il legame fra i cittadini e la cosa pubblica.
La neve a Maidan a Kiev, la piazza centrale con le bandiere dei caduti - Reuters
E la Chiesa?
Ci guida la parabola del Samaritano: curare le ferite della gente. Sono quelle materiali, a cominciare dal soccorso per i bisogni essenziali. Ma sono anche quelle spirituali e psicologiche. Le persone si chiudono sempre più in se stesse: per paura e per difficoltà. C’è la necessità di tornare a incontrarsi per condividere un vissuto drammatico. E davanti a troppo dolore in tanti hanno riscoperto la fede. Poi come Chiesa abbiamo un’altra responsabilità: siamo chiamati a far sentire la voce dell’Ucraina nel mondo, a far sì che la nostra nazione non sia abbandonata e a sollecitare gli attori internazionali perché si ponga fine a questa follia.
Per la prima volta l’Ucraina festeggerà il Natale il 25 dicembre per decisione delle autorità civili e per volontà di gran parte delle comunità cristiane, a eccezione della Chiesa ortodossa russa di matrice moscovita.
È un segno importante. Mi vengono in mente le parole del Salmo: “Come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme”. I cristiani ucraini sono uniti nel nome di Gesù, principe della pace, e per il bene del Paese. Lo testimonieremo anche celebrando insieme la nascita del Salvatore.