Il vento che soffia impetuoso dagli estremi confini della cristianità d’Occidente, con l’annunciato rientro di vari fedeli anglicani nella piena comunione con Roma, solleva vecchi problemi e nuove speranze anche sul fronte orientale. Dal punto di vista delle Chiese ortodosse è molto significativo che il gesto d’apertura del Papa abbia evitato qualsiasi forma di «uniatismo» (non ci sarà infatti una Chiesa cattolica di rito anglicano ma solo degli Ordinariati personali per i nuovi fedeli). È il segno che l’impegno assunto da Benedetto XVI fin dal primo giorno del suo pontificato «di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo» sta dando buoni frutti. Ad Est fiorisce una nuova stagione ecumenica. Proprio ieri, in un messaggio indirizzato a Karekin II, il
catholicos degli armeni, il Papa si è augurato che «le buone relazioni tra le nostre Chiese continuino a rafforzarsi sempre più nei prossimi anni». Ma anche tra cattolici e ortodossi «il dialogo è ormai una realtà consolidata che procede su basi di uguaglianza e di fiducia reciproca» ci dice il metropolita Ioannis di Pergamo, uno dei più grandi teologi contemporanei ed esponente di primo piano del Patriarcato di Costantinopoli. Ioannis accetta volentieri di fare il punto della situazione. Parte da una data, il 29 giugno del 2006, quando gli toccò guidare la delegazione ortodossa in visita dal Papa per partecipare alle celebrazioni della festa di San Pietro e Paolo. Un gesto tradizionale cui Benedetto XVI decise di dare un rilievo del tutto particolare. Ioannis ancora oggi rivive l’emozione di quella giornata quando udì il suo vecchio amico Joseph Ratzinger parlare non più come teologo ma come vescovo di Roma. «Dobbiamo fare in modo di progredire più speditamente sulla via della piena unità», disse rivolgendosi alla delegazione ortodossa. Due settimane prima, illustrando la figura dell’apostolo Andrea, considerato il fondatore della Chiesa d’Oriente, il Papa aveva affermato che «la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli sono veramente sorelle», volendo così sottolineare il rapporto speciale che lega le due sedi. Qualcuno parlò della svolta orientale di papa Ratzinger. Il suo «ardente desiderio» di giungere al più presto all’unità coi fratelli separati d’Oriente riecheggiava «la struggente nostalgia» dichiarata dal suo predecessore nell’enciclica Ut unum sint del 1995. Ma Giovanni Paolo II dovette far fronte ad un periodo di gelo con le Chiese ortodosse, in particolare con il Patriarcato di Mosca che vedeva nella rinascita delle comunità cattoliche in Russia ed Ucraina una minaccia allo status canonico ed al prestigio della «Terza Roma». L’ortodossia, il gigante addormentato, si risveglia. E come succede a chi ha dormito male e troppo a lungo, narcotizzato dal comunismo, il risveglio coincide con i mugugni, i brontolii e le accuse. Per dirla tutta anche Benedetto XVI suscitò all’inizio qualche sospetto. «L’aver cancellato il titolo di patriarca d’Occidente, di cui si era sempre fregiato il Capo della Chiesa di Roma, provocò qualche malumore», ricorda Gennadios, metropolita di Sassima e stretto collaboratore del patriarca Bartolomeo I. Ma «il dato più importante – sottolinea Gennadios – è l’avvio di un dialogo teologico molto serrato che negli ultimi tempi ha cominciato ad affrontare il tema cruciale del primato del Papa». Per la prima volta dallo scisma del 1054 l’intero mondo ortodosso ha accettato di discutere l’ostacolo principale alla riunificazione. È il compito che si è assunto la Commissione mista per il dialogo teologico che ha tenuto recentemente la sua undicesima assemblea plenaria a Cipro e si ritroverà fra un anno a Vienna. «Il suo scopo è il ristabilimento della piena comunione fra le nostre Chiese» afferma la Dichiarazione congiunta siglata da Benedetto XVI e da Bartolomeo I nel novembre del 2006 ad Istanbul, durante la visita del Papa in Turchia. Tra loro si è stabilità un’amicizia personale molto profonda che è di buon auspicio per il dialogo ecumenico.«Diciamo la verità: coi cattolici c’è ben poco che ancora ci divide», sostiene il professor Nikolai Losskji, docente di storia della Chiesa all’Istituto San Sergio di Parigi, il famoso centro teologico fondato dagli intellettuali dell’emigrazione russa nel 1924. Per contenuti di fede, dottrina sacramentale e visione antropologica gli ortodossi sono pressoché identici ai cattolici. Li separa il ruolo del vescovi di Roma il cui primato è stato riconosciuto nel documento comune di Ravenna del 2007, mentre restano le divergenze sulle prerogative che questo comporta. Ed anche le difficoltà che hanno caratterizzato, fino ai primi anni Duemila, i rapporti tra Vaticano e Patriarcato di Mosca hanno a che fare più con la storia e la psicologia che non con la teologia e la dottrina.Adesso però è tornato il sereno. Ce lo conferma l’arcivescovo Ilarion, braccio destro del neo patriarca Kirill e responsabile del Dipartimento esteri della Chiesa ortodossa russa: «Con la comunità cattolica locale guidata da monsignor Pezzi abbiamo ottimi rapporti. Ma restano i problemi in altre situazioni, a cominciare dall’Ucraina. Solo quando saranno risolti ci potrà essere un incontro tra il Patriarca di Mosca ed il vescovo di Roma».In realtà Kirill ha bisogno di tempo per convincere il fronte interno degli ultra-conservatori che si oppongono al dialogo ecumenico. E, prima che con Roma, deve ristabilire rapporti meno conflittuali con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e le altre Chiese ortodosse sorte nell’ex Unione Sovietica. Uno dei suoi primi atti è stato quello di recarsi in visita da Bartolomeo I, un gesto apprezzato da tutto il mondo ortodosso che sta faticosamente ritrovando la sua unità.