Un "siringueiro" al lavoro per estrarre il caucciù
La chiamano la “terra dei martiri”. Allo Stato di Acre, all’estremo occidente del Brasile, appartengono, per nascita o adozione, alcune delle figure più note che hanno pagato con il sangue l’impegno per la difesa della casa comune e dei suoi popoli. Là, nella comunità di Labrea, il 28 aprile 1985, è stata assassinata suor Cleusa Coelho: aveva 52 anni, di cui 31 trascorsi fra gli indios Apirinã. Cinque anni prima, il 21 luglio 1980 a Brasiléia, era toccato al sindacalista Wilson de Souza Pinheiro, pioniere della protesta non violenta contro la deforestazione insieme a Chico Mendes, ucciso, a sua volta, il 22 dicembre 1988. Ma l’Acre è anche una terra martire, in cui il grido degli esseri umani e della foresta risuona all’unisono. Il Brasile lo acquistò dalla Bolivia nel 1903 con l’obiettivo di impossessarsi del suo “oro bianco”, ovvero le rigogliose estensioni di “alberi di gomma”. All’inizio del Novecento, il prezzo del caucciù volava sui mercati internazionali, trainato da una fame insaziabile di Europa e Stati Uniti. Per soddisfarla, il governo promosse una migrazione di massa di lavoratori dalle zone più povere del Paese.
«La maggior parte di loro non fece più ritorno. Si dice che sotto ogni albero di gomma è sepolto un “siringueiro”, come venivano chiamati i lavoratori arruolati per estrarre il caucciù. Non solo le condizioni ambientali erano difficilissimi. Il business della gomma era basato su un sistema schiavista. Per ottenere gli attrezzi, la manodopera era costretta a indebitarsi con il “patrão” (il reclutatore) e la somma dovuta cresceva a dismisura, senza controllo. Impossibile fuggire: i “coroneles” – vigilanti al soldo del proprietario – controllavano i fiumi, unica via di scampo. Gli abusi e le violenze sui siringueiros furono spaventosi. A questo si somma la distruzione della foresta e l’esproprio dei territori agli indigeni», ha raccontato monsignor Joaquín Pertíñez Fernández, vescovo di Rio Branco, principale centro urbano dell’Acre.
L’estrattivismo selvaggio che ha caratterizzato lo Stato fin dalle origini, là si è rivelato in tutta la sua fragilità. Fu sufficiente il furto da parte di alcuni commercianti inglesi di una manciata di semi Hevea Brasiliensis (l’albero della gomma), prontamente piantata nella Malaysia sotto il dominio britannico, perché, nel giro di pochi decenni, la concorrenza asiatica sgonfiasse il boom dell’oro bianco brasiliano. Si dovette attendere fino all’entrata degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale affinché riesplodesse la “febbre del caucciù”. Il Brasile, unitosi agli Alleati, non offrì la propria collaborazione sul campo di battaglia. Con i mercati asiatici fuori gioco in seguito alla deflagrazione, il presidente Getulio Vargas, bensì, nel 1942, si impegnò a rifornire di gomma Washington. Dei 60mila “soldati del caucciù” spediti sul fronte amazzonico dell’Acre, sopravvisse meno della metà. Il resto fu ingoiato nel buco nero dello sfruttamento feroce.
«I siringales, gli accampamenti dei siringueiros, rappresentano un luogo teologico della sofferenza umana», ha aggiunto monsignor Pertíñez Fernández, il quale ha voluto ripercorrere questa «tragedia dimenticata» perché «essa ha molto da insegnarci. In primo luogo, che il modello estrattivista divora la terra come divora la vita umana. Purtroppo in Amazzonia abbiamo la “memoria di legno”. Dato che gli edifici sono costruiti con tronchi e rami e non in pietra, scompaiono facilmente. Allo stesso modo svanisce il ricordo del passato. E finiamo per ripeterlo».