È il motto scelto da Benedetto XVI per la visita che comincia domani nella Repubblica Ceca: «L’amore di Cristo è la nostra forza». Ma si adatta perfettamente alla personalità dell’arcivescovo di Praga, il cardinale Miloslav Vlk, che si prepara ad accogliere il Santo Padre. «Sarà una scossa salutare per la nostra società ultra-secolarizzata», si dice convinto. Per lui sarà il sigillo di una lunga attività pastorale al vertice della Chiesa ceca. Ordinato vescovo nel 1990, insediato a capo della diocesi praghese nel 1991, nominato cardinale nel 1994. Tra breve, a 77 anni compiuti, lascerà l’incarico, anche perché «i limiti canonici d’età li ho già superati da oltre due anni». Vlk è un uomo saggio e pacato, ha guidato la Chiesa locale nella difficile transizione post-comunista puntando sui laici e sui movimenti. In gioventù, il regime gli tolse il permesso di parroco e così, per dieci anni, si ridusse a fare il lavavetri nei negozi di Praga. «Guardavo Cristo sulla croce e m’identificavo pienamente con lui, celebrando Messa clandestinamente nelle case. Sono stati gli anni più benedetti della mia vita», confessa con un timido sorriso, prima di rispondere alla nostre domande.
Eminenza, quello del Papa in Repubblica Ceca sarà un viaggio «nel cuore dell’Europa», come lui stesso ha detto domenica scorsa. Sarà l’occasione per un messaggio papale a tutto il continente?La visita in Repubblica Ceca è il primo viaggio internazionale che il Santo Padre compie dopo la pubblicazione dell’enciclica
Caritas in veritate. Penso dunque che Benedetto XVI riprenderà quelle riflessioni, che entrano nel vivo delle problematiche del nostro tempo. Parlerà ai credenti ed agli uomini di buona volontà del mio Paese e di tutta l’Europa, sullo sfondo del ventesimo anniversario della caduta del comunismo. Una ricorrenza che per noi cechi è strettamente legata alla canonizzazione di Sant’Agnese di Praga, avvenuta il 12 novembre del 1989. Per la prima volta nella storia del regime comunista 10mila pellegrini poterono uscire dalla Cecoslovacchia e recarsi a Roma per la cerimonia. Pochi giorni dopo a Praga ci fu la manifestazione studentesca, repressa duramente dalla polizia, che segnò l’avvio della cosiddetta "rivoluzione di velluto". Un cambiamento epocale che molti subito chiamarono "il miracolo di Sant’Agnese".
Eppure, oggi la Repubblica Ceca è considerata la nazione più secolarizzata d’Europa. Quali sono i motivi di questo diffuso laicismo?Ci sono ragioni storiche che risalgono ai tempi di Jan Hus, il riformatore boemo finito sul rogo cui venivano condannati gli eretici. Poi ci fu la guerra dei Trent’anni, che acuì i contrasti religiosi, quindi il lungo dominio degli Asburgo e la supposta complicità della Chiesa cattolica nel soffocare le aspirazioni nazionali. In realtà, molti sacerdoti, continuando a predicare nella lingua ceca, contribuirono a salvare l’identità popolare. E l’idea che Chiesa e nazione fossero in netto contrasto venne poi ripresa e propagandata dopo la prima guerra mondiale e più tardi anche dai comunisti.
Ma laici e credenti si ritrovarono insieme nella lotta contro il regime a partire dagli anni Settanta. Non è rimasto nulla di quella straordinaria collaborazione?La Chiesa cattolica è stata protagonista delle battaglie per la libertà alla fine del comunismo. Ma raggiunto l’obiettivo la politica ha preso un’altra strada, concentrandosi sulle trasformazioni dell’economia e dimenticando quella che io chiamo la necessaria trasformazione del cuore. Ed oggi i sentimenti anti-religiosi si rinnovano nel tentativo di ridurre la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa al problema dei beni ecclesiastici, come a dire che la Chiesa vuole il potere. Non è così. Noi non abbiamo chiesto la restituzione di tutti i beni confiscati alla Chiesa nel 1948 e ci siamo dichiarati disponibili ad accettare meccanismi di compensazione finanziaria che garantiscano il funzionamento delle nostre istituzioni.
A che punto è la questione?Noi dialoghiamo con lo Stato ma i vari governi che si sono succeduti in questi quindici anni non hanno mai voluto affrontare seriamente il problema. Recentemente, sembrava che si stesse per aprire uno spiraglio. L’ultimo governo guidato da Topolanek aveva avanzato una proposta: la Chiesa lascia le sue antiche proprietà nelle mani dello Stato dietro un rimborso di 83 miliardi di corone (circa 3 miliardi di euro), rateizzato nei prossimi 60 anni. Ma poi il progetto è stato bocciato in sede di commissione per il repentino cambio d’idea di uno degli esponenti governativi. E così siamo di nuovo al punto di partenza.
Tutto questo avrà ripercussioni sull’imminente visita del Papa?No, non credo che Benedetto XVI ne parlerà nei suoi discorsi, anche se ha ben presente il problema. Ma forse l’argomento verrà affrontato nel colloquio che il Segretario di Stato vaticano avrà con il primo ministro ceco.
La visita del Papa potrà contribuire ad appianare la strada verso una soluzione?La Repubblica ceca si trova in uno stato di grande confusione. E la Chiesa è oggetto di tanti pregiudizi. Le dico solo questo: il nostro presidente Vaclav Klaus, quand’era primo ministro negli anni Novanta, definì spregiativamente la Chiesa come un club turistico. In questo quadro nerissimo, ecco che adesso arriva una figura bianca e luminosa che, senza imporre nulla, parlerà delle cose più importanti che riguardano la vita degli uomini e della società. E richiamerà i credenti a essere meno timidi e ad avere più coraggio, testimoniando il Vangelo in una società secolarizzata che ha bisogno di toccare con mano e di fare esperienza della novità cristiana.