venerdì 23 agosto 2024
Le sfide educative poste dalle nuove generazioni sono al centro dell’incontro dei 18mila capi Agesci riuniti a Verona. Parla l’assistente ecclesiastico generale
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Pantaloncini corti, camicia azzurra, fazzolettone. Quando si incontrano per strada si riconoscono subito: sono gli scout. Da ieri a domenica, in più di 18mila sono impegnati a Verona per la Route nazionale delle capo e dei capi Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani). Un incontro cioè tra le persone che nel movimento hanno la responsabilità di progettare e vivere le attività con i ragazzi e le ragazze più piccoli. Tra gli obiettivi, affrontare le sfide che le nuove generazioni pongono allo scautismo con un focus sulle grandi domande di senso. Alla base di ogni attività scout, infatti, c’è la dimensione di fede: ogni gruppo ha un assistente spirituale che accompagna il cammino, che a tutti gli effetti si svolge dentro la vita della Chiesa. Che cosa può dire, oggi, il mondo degli scout proprio alla Chiesa? Risponde qui don Andrea Turchini, assistente ecclesiastico generale dell’Agesci.

Don Andrea, lei in questi giorni è alla Route di Verona. Perché questo incontro avviene proprio ora?

Quest’anno celebriamo il cinquantesimo anniversario della fondazione dell’Agesci, avvenuta il 4 maggio 1974. Abbiamo ritenuto giusto festeggiare questo importante traguardo non solo con celebrazioni, ma con un cammino che ci permetta di riflettere sulle sfide che siamo chiamati ad affrontare insieme, soprattutto come capi della nostra associazione. Gli scout possono offrire un’esperienza di impegno laicale e di partecipazione attiva che va ben oltre gli ultimi 50 anni, con radici che affondano in una tradizione consolidata.

Rimaniamo sulle sfide. Questo è un momento di grandi cambiamenti e difficoltà per le comunità cristiane, con una minore partecipazione alla vita ecclesiale. Cosa possono offrire oggi gli scout alla Chiesa?

Siamo un’associazione ecclesiale a tutti gli effetti in cui il ruolo principale è svolto dai laici, che portano avanti con responsabilità la loro vocazione e missione educativa all’interno della Chiesa, di cui sono parte attiva e integrante. C’è poi lo stile della partecipazione. La nostra esperienza di democrazia associativa, che valorizza il contributo di tutti, può essere d’aiuto alle comunità cristiane, specialmente in questo tempo di cammino sinodale.

Abbiamo letto tra i documenti preparatori per la Route che le sfide educative sono centrali. Quali sono, secondo lei, i temi più urgenti?

Il primo tema che mi viene in mente è quello della pace. In questi giorni e mesi, avvertiamo con urgenza la necessità di non limitarci a evocare la pace come concetto astratto, ma anche di viverla concretamente nelle nostre relazioni quotidiane, con una fraternità autentica. Questo era l’obiettivo che Baden Powell aveva in mente quando fondò il movimento scout. Vogliamo testimoniare la pace attraverso la condivisione autentica tra diversità generazionali, politiche e di ogni altro tipo, dimostrando che è possibile vivere la fraternità anche in situazioni di conflitto. Da diversi anni stiamo anche cercando di rispondere al tema fondamentale dell’accoglienza, che implica fare spazio all’altro, riconoscendo in lui un volto bello e portatore di doni. L’accoglienza rappresenta una provocazione educativa: non basta evocare un valore, dobbiamo farlo vivere concretamente. Lo scautismo, infatti, è un’esperienza concreta che “passa dai piedi”, come diciamo noi, ed è proprio attraverso esperienze reali che i valori possono radicarsi nelle persone.

Viviamo in un momento di grande ricerca spirituale, ma con una minore adesione alla fede cattolica. Cosa significa oggi, per un giovane fare una scelta di fede?

Questo tema è strettamente aderente a questa Route, che ha per tema la felicità. La fede, prima di tutto, è la capacità di riconoscere che il desiderio di vita piena di ognuno trova una risposta completa in Gesù. Come affermato anche dal Concilio Vaticano II, Gesù è la risposta piena all’umanità, che soddisfa il nostro desiderio di vivere in maniera autentica. Noi adulti dobbiamo accompagnare i giovani in questo cammino, ascoltando le loro domande e necessità. Il recente Sinodo dei Giovani ci ha chiesto di rimettere in discussione molte delle nostre abitudini ecclesiali per rendere la fede più accessibile e sperimentabile, specialmente per venire incontro alle nuove generazioni.

Gli scout sono testimoni di fede credibili? Perché?

Questa è una domanda che dovrebbe essere rivolta a ciascuna guida e scout, perché la credibilità è una sfida personale. Il primo articolo della Legge Scout recita che “la guida e lo scout pongono il loro onore nel meritare fiducia”. Questa è una sfida che interpella ognuno di noi. La proposta che facciamo ai ragazzi e alle ragazze è quella di vivere un’esperienza autentica, che non si limiti a enunciare valori o verità astratte, ma che si concretizzi nella vita quotidiana. Come ci insegna il Vangelo, le verità diventano vere solo quando si fanno carne. Noi adulti, capi e capo, dobbiamo essere testimoni credibili di una vita fondata sulla fede e sull’appartenenza ecclesiale.

Che cosa la colpisce dello scautismo?

Ho vissuto moltissime esperienze significative. La cosa che mi ha appassionato di più è stata l’attenzione del metodo educativo alla persona. Nello scautismo, e in particolare nell’Agesci, ogni ragazzo e ragazza riceve una proposta personalizzata, calibrata sulle sue esigenze e obiettivi. Noi la chiamiamo progressione personale: non c’è una proposta standardizzata, ma ogni giovane è il protagonista del suo percorso, con gli adulti che camminano accanto a lui o lei, rendendo possibile questa esperienza.

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