lunedì 21 settembre 2009
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C’è un potenziale educativo della comunità cristiana che va assolutamente recuperato. Sconfiggendo atteggiamenti pessimistici che spesso sono alla base di quella che oggi viene definita come «la crisi della vocazione a diventare educatori». L’appello in tal senso viene da Paola Ricci Sindoni, docente di Filosofia morale all’Università di Messina, che concorda pienamente con quanto viene sottolineato nel libro La sfida educativa, pubblicato da Laterza e curato dal Servizio nazionale Cei per il Progetto culturale. «La storia della Chiesa, anche quella più recente – afferma la studiosa –, sta lì a testimoniare quanto la comunità cristiana abbia fatto e continui a fare in ordine all’educazione delle giovani generazioni. Non bisogna disperdere questo potenziale, anche perché l’azione educativa che si svolge nelle parrocchie, negli oratori, nei percorsi formativi di gruppi, associazioni e movimenti ha caratteristiche peculiari che difficilmente si trovano in altre agenzie educative». Ricci Sindoni ricorda in primo luogo che la comunità cristiana «è il luogo dove ci si abitua da un lato a porsi le domande fondamentali sull’esistenza, dall’altro ad ascoltare gli altri». E questo è molto importante per contrastare la deriva che porta proprio alla «dispersione delle domande, specie da parte dei giovani, più interessati a messaggi che colpiscono solo la sfera emozionale». Secondo elemento. «La comunità cristiana – ricorda la professoressa – offre la possibilità di fare esperienza di una socialità più ricca di quella consentita dalla famiglia e al contempo meno strutturata di quella sperimentata nella scuola». Inoltre in questo ambiente «si impara uno stile di vita attraverso esperienze concrete» e così la comunità stessa «diventa anche una palestra di responsabilità e di crescita dei giovani verso valori umani imprescindibili».Non va sottovalutata infine la portata educativa della «compresenza di generazioni diverse: il bambino, il ragazzo, l’adolescente, il giovane. In tal modo c’è la possibilità di crescere ancora tutti insieme». Questi elementi di forza richiedono però oggi di essere declinati in un nuovo contesto storico e sociale. «Preoccupazioni e allarmi – dice Ricci Sindoni – non devono offuscare la bellezza dell’educare. Perché accompagnare un figlio nella crescita è una straordinaria avventura umana». E nella comunità cristiana questa bellezza deve rifulgere in modo evidente. «Cerchiamo di dare il primato all’esperienza piuttosto che alle affermazioni di principio. Non che i contenuti non siano importanti, ma diventiamo più credibili e attraenti se li mettiamo alla prova dei fatti». Dunque occorre che gli stessi educatori siano credibili, oltre che preparati e competenti. La studiosa sottolinea un punto che nel libro viene messo bene in evidenza: «Bisogna educare gli educatori, formarli bene, e mettere fine a un certo spontaneismo, magari condito di santo entusiasmo ma anche di molta improvvisazione. Educatori non ci si inventa da un momento all’altro». Altra lacuna da colmare è quella del linguaggio: «Abbiamo altissimi contenuti, ma povertà di linguaggi. Ritrovare forza da questo punto di vista non significa cedere alle mode, ma rapportarsi ai giovani con un sano realismo storico». Infine Ricci Sindoni ricorda la necessità di legare razionalità e affettività e riscoprire parole forti come sacrificio, senso del servizio, dono di sé. «Forse le abbiamo lasciate un po’ da parte. Alcuni autori inglesi le stanno riprendendo. Ridiciamole anche noi».In sintesi, l’appello che si potrebbe lanciare è questo: «Per la comunità cristiana è tempo per tornare a proporre il servizio educativo come educazione». E dunque «è un tempo di speranza, non di crisi», conclude Ricci Sindoni. «Educare è desiderare, osare, avere il coraggio di guardare fuori di sé. Tutte operazioni che hanno molto a che fare con il futuro».
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