Alla Basilica della Natività fervono i preparativi per la
visita di Francesco. Tra il via vai dei pellegrini stranieri che in questi
ultimi anni hanno ripreso a venire numerosi, padre Ibrahim Faltas, economo
della Custodia di Terra Santa, è tutto preso dalla stampa dei biglietti per la
messa del 25 maggio nel piazzale della Mangiatoia. «Ne abbiamo stampati
diecimila» afferma «stiamo lavorando molto per questa messa, perché le
richieste sono moltissime e il piazzale non è grande. E questa è l’unica messa
che il Papa celebrerà per tutti noi, per i fedeli di Palestina e d’Israele.
Vengono dai territori del nord, dalla Galilea da tutta la Cisgiordania, anche
da Gaza». Non ci saranno, infatti, pellegrini stranieri, solo cristiani della
Terra Santa. Padre Ibrahim, il frate che tutto il mondo aveva visto alzare le
braccia per fermare gli attacchi durante i trentanove giorni dell’assedio della
Basilica dodici anni fa, non ha dubbi che il momento più importante della
visita di papa Francesco sia rappresentato proprio dalla celebrazione a
Betlemme: «È certamente questo» ribadisce «il momento più significativo della
visita oltre l’incontro al Santo Sepolcro con il patriarca ecumenico Bartolomeo
I». E il significato concreto e simbolico sta già nel gesto stesso di Papa
Francesco di aver scelto di entrare in Terra Santa dalla Palestina, da
Betlemme, la culla della cristianità e di incontrare qui tutti i fedeli.
«D’incontrare qui i cristiani palestinesi di Betlemme per dire a tutti: “Sono
con voi, sono vicino a voi”» riprende a dire padre Faltas. La visita giunge in
un momento particolarmente difficile anche per il processo di dialogo, la cui
crisi si ripercuote sulla situazione dei cristiani di questa terra che vivono
sotto la pressione d’Israele. Betlemme è l’unica città di tutta la Cisgiordania
ad avere tre campi profughi. A Dheisheh vivono 15 mila persone, è il più grande
campo profughi dopo quello di Gaza. «Dalla visita di Giovanni Paolo II ad oggi
la situazione è molto peggiorata» riprende padre Faltas «la Terra Santa ha
bisogno di ponti, come disse Giovanni Paolo II, non di muri. C’è adesso molta
aspettativa sulla visita papa Francesco anche per una ripresa dei negoziati ed
è stato molto apprezzato dalla nostra gente che papa Francesco abbia scelto di
fermarsi in colloquio con famiglie cristiane con situazioni difficili che
potranno dire direttamente al Papa i loro problemi e le loro sofferenze». Prima
della visita privata alla Grotta della Natività papa Francesco s’intratterrà,
infatti, a pranzo con cinque di queste famiglie. Una viene dalla Galilea, esule
da un villaggio distrutto dalla guerra del 1948. Una da Beit Jala, un’altra
dalla stessa Betlemme, una da Gaza e una infine da Gerusalemme.
«Vedere il papa è un regalo che non avrei mai immaginato
nella mia vita» dice Joseph Hazboun che con sua moglie Rima e due dei suoi
figli è una delle cinque famiglie che incontreranno il papa a Betlemme. Hazboun
è palestinese, nativo di Betlemme, ma vive e lavora a Gerusalemme nella Pontificial mission che sostiene la
popolazione palestinese, sia cristiana che musulmana, un’opera nata per l’assistenza ai profughi. Come
palestinese a Gerusalemme è soggetto a restrizioni che non gli consentono di
vivere serenamente unito alla sua famiglia. «Al papa faremo presente la nostra
situazione e sarò portavoce di una comunità cristiana, quella di Gerusalemme,
che soffre gravi ingiustizie» dice Hazboun. Sono circa dodicimila i cristiani
dei diversi riti nella Citta Santa. Dagli incontri avuti con i diversi membri
di queste comunità Hazboun ritiene che l’unione dei cristiani è in questo momento molto sentita e diventerà
sempre più centrale «perché» afferma «i problemi sono tanti e abbiamo bisogno
di questa unità per affrontarli e per la pace». «Mi hanno incaricato di
consegnare al papa a nome di tutti i cristiani di Gerusalemme una lettera» dice
infine «l’abbiamo chiamata “figli della Resurrezione”, così come in arabo si
chiama la basilica del Santo Sepolcro e raccoglie tutte le nostre speranze di
cristiani che vivono nella culla del cristianesimo».