La conferenza stampa per la presentazione del Rapporto sulla lotta agli abusi - Muolo
La Chiesa, a tutti i livelli, è sempre più determinata a portare luce nelle tenebre della terribile piaga degli abusi. Lo si evince anche dal Rapporto annuale della Commissione pontificia per la Tutela dei minori presentato ieri. Tra le altre cose, vi si raccomanda di procedere a forme di risarcimento alle vittime, non solo economico, si fa un bilancio delle forme di lotta all’abuso messe in atto in diverse aree geografiche (promossa la Chiesa italiana) e soprattutto, come ha fatto nella conferenza stampa il presidente della Commissione, il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, si fa ancora un mea culpa di fronte a coloro che sono stati colpiti da questa piaga. Il porporato ha comunque sottolineato, sia nell’introduzione al documento (composto da circa un centinaio di pagine), sia rispondendo alle domande dei giornalisti, che si è definitivamente voltato pagina e non verranno ripetuti gli errori del passato.
Ne ha dato atto anche una ex vittima, ora membro della Commissione, Juan Carlos Cruz. «Non avrei mai creduto che sarebbe arrivato un giorno come questo. Ringrazio Papa Francesco per essersi preso cura dei sopravvissuti, per essere impegnato in questo sforzo. Verità, giustizia, riparazioni, sono parole che in passato erano un tabù in molti luoghi». Cruz ha poi rivolto un pensiero a «coloro che non ci sono più perché molti si sono tolti la vita, hanno lasciato questo mondo senza alcuna speranza. Ma questo è un nuovo giorno», ha concluso.
Il cardinale O’Malley ha notato tuttavia che molto lavoro resta da fare. E durante la conferenza stampa ci si è soffermati anche sugli aspetti da migliorare. Nel Rapporto si chiede ad esempio l’intera materia venga affrontata in un documento del magistero, magari un’enciclica. Si chiede inoltre di prevedere una procedura definita che porti alle dimissioni di quei “leader” ecclesiastici, che siano stati inattivi di fronte al problema, ma volte “coprendo” ecclesiastici pedofili. Ma soprattutto dalle pagine del Rapporto emerge anche una fotografia di come nelle diverse nazioni e nei diversi continenti viene affrontata questa terribile piaga. In Europa, ad esempio, non sono stati fatti complessivamente gli auspicati progressi «Se da una parte nelle Chiese locali sono stati condotti alcuni seri studi sulla prevalenza degli abusi con avanzato impegno in materia di tutela, in diverse parti del continente si registra una persistente assenza di statistiche affidabili sull’entità degli abusi da parte di chierici e religiosi», sottolinea il documento.
La Chiesa italiana però ne esce bene. Essa viene inserita tra quelle che hanno portato avanti «buone pratiche», insieme alla Francia, al Belgio. all’Irlanda e alla Germania: «In Italia, la Chiesa ha istituito commissioni diocesane indipendenti formate anche da esperti laici per supervisionare e indagare sulle accuse di abuso, promuovendo la trasparenza e l’esercizio della responsabilità istituzionale nella gestione di tali casi», si legge infatti nel Rapporto. Dal Messico invece non c’è stata alcuna risposta e il cardinale O’Malley ha detto di essere deluso.
Bisogna lavorare inoltre per ovviare alla «mancanza di meccanismi di denuncia accessibili, e di un seguito dato a dette denunce da parte delle autorità ecclesiastiche». Ciò provoca «frustrazione tra le vittime a causa della gestione dei loro casi da parte del sistema canonico. Anche nei Paesi in cui esiste un alto grado di efficienza nell’ambito della giustizia civile, il rispetto da parte della Chiesa del potere riservato agli Stati - che prevede di attendere la conclusione di un processo penale prima di procedere con quello canonico, come indicato esplicitamente anche dal Dicastero per la Dottrina della Fede nel Vademecum del 2022 - viene visto da molte vittime come un ulteriore silenzio da parte della Chiesa», evidenzia il Rapporto. «In alcuni Paesi la reputazione della Chiesa sembra avere priorità rispetto alla protezione delle vittime».
Resta da colmare infine la lacuna circa i dati. Secondo la giurista Maud de Boer-Buquicchio, «gran parte della Chiesa rimane priva di solide pratiche o capacità di raccolta dati. Eppure, i dati sono fondamentali per la nostra capacità di promuovere la responsabilità. Dobbiamo impegnarci di più in questo senso».