«Il tema è questo: bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti… Vi abbiamo fatto tribolare, perché vi abbiamo imposto come canone primo la imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità. Noi - vi si diceva - abbiamo questo stile, bisogna adeguarvisi; noi abbiamo questa tradizione, e bisogna esservi fedeli; noi abbiamo questi maestri, e bisogna seguirli; noi abbiamo questi canoni, e non v’è via di uscita. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci … Siamo ricorsi ai surrogati, all’oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa, anche perché, a nostra discolpa, non avevamo mezzi di compiere cose grandi, cose belle, cose nuove, cose degne di essere ammirate … Rifacciamo la pace? Quest’oggi? Qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti?…». Così Paolo VI, nel discorso - non era una lettera, come spesso si ripete, quella arrivò poi il 18 ottobre 1975 - rivolto agli artisti nella Cappella Sistina, il 7 maggio 1964. Parole scaturite durante un’iniziativa suggeritagli dal segretario monsignor Pasquale Macchi, da sempre suo
trait d’union con gli «operatori della bellezza», al fine di ristabilire, esaltandolo, il rapporto fra la Chiesa e gli artisti. Uno dei «Gesti profetici di Paolo VI», come tecita nel titolo del suo volume edito da
Ancora monsignor Ettore Malnati, a sua volta assai vicino e a lungo a monsignor Macchi in questo 'mondo' pieno anche di amici. È passato esattamente mezzo secolo da quel 7 maggio, ma sarebbe grave dimenticare quelle parole, tanto sembrano ancora attuali nella potenza di un messaggio, improvvisato nella sua forma, ma certamente meditato a lungo, ed esito di un impegno antico a favore di pittori, scultori, architetti, musicisti, scrittori, ben palesato già da arcivescovo di Milano (la Milano di Brera, di Villa Clerici, della Scuola del Beato Angelico …). Ricordare quelle parole, senza dimenticare il contesto di allora, assai rilevante per la riforma liturgica, significa continuare a credere come ricordano all’Istituto Paolo VI di Concesio «nella spinta propulsiva generata dall’atto creativo, espressione eletta del trascendente, incarnazione della presenza divina sulla Terra». «Negli scritti montiniani – precisano all’Istituto sorto nel paese natale di Montini – il costante riferimento alla bellezza, quale 'splendore di verità', è da intendersi non come meta fine a se stessa, concetto astratto e ricerca della perfezione formale, ma quale partecipazione del sensibile alla creazione divina; atto che, al di là delle scelte personali di stile e tecnica, è prova di un cammino responsabile, testimonianza di una ricerca dentro la verità». E non a caso nell’Istituto Paolo VI, l’Associazione Arte e Spiritualità si trova affidato il cospicuo patrimonio di opere affidatole dall’Opera per l’educazione cristiana, proprietario della collezione d’arte del XX secolo raccolta da Montini negli anni dell’episcopato e del papato e arricchita successivamente da donazioni (settemila opere, molte di assoluti protagonisti del ’900). In realtà Paolo VI desiderava che il bello potesse costituire motivo di gaudio non solo per i cultori del-l’arte, ma per l’intero popolo di Dio. Agli artisti, il 7 maggio di cinquant’anni fa, Paolo VI chiede perdono per la mortificazione della loro creatività da parte di tanti uomini di Chiesa, consapevole che anche grazie alla bellezza l’uomo ritorna con il pensiero a Dio. Non solo: il primo Papa del pieno confronto con la modernità, guarda con attenzione soprattutto al genio del suo tempo: preceduto - in questo - nella comprensione riservata da Giovanni XXIII allo scultore Giacomo Manzù e seguito dai successori (da ricordare qui almeno la
Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II nel 2000 e l’incontro di Benedetto XVI con i «custodi della bellezza» promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi il 21 novembre 2009). «Anche l’arte moderna, segnata dai drammi e dalle speranze del XX secolo, deve poter parlare dei misteri cristiani, era questo il suo pensiero», ricorda monsignor Malnati. Che aggiunge: «Con questo intento fece ristrutturare la cappella privata dell’appartamento pontificio, introducendovi opere d’arte significative: bronzi e vetrate. In questa cappella il Papa prossimo beato trascorse moltissimo tempo in preghiera. Anche Giovanni Paolo II andava orgoglioso di quel gioiello. Aveva introdotto la consuetudine che i vescovi venuti a Roma alla visita ad limina concelebrassero al mattino con lui proprio nella cappella voluta da Paolo VI». Appunto: la bellezza cifra del mistero e richiamo al trascendente, la bellezza che invita gli uomini a trovare ciò che cercano.