La crisi economica che incalza costringe anche la Chiesa a interrogarsi su come ripensare e gestire aiuti e carità. Partendo da due punti fermi: «Non siamo in grado di aiutare tutti» e «non è facile leggere oggi ciò che succederà nei prossimi anni». Abituati a trovare risposte a domande complesse, gli economi diocesani si trovano negli ultimi mesi di fronte a compiti anche maggiori, quasi di supporto al ruolo pubblico nelle emergenze scaturite dal dilagare della crisi. Capita perciò al momento opportuno il sesto Convegno nazionale degli economi, cominciato ieri a Chianciano Terme (dove si chiuderà domani): sono 270 i presenti (in rappresentanza di 127 diocesi italiane più quella «ospite » di Malta), ai quali si è rivolto il loro massimo «referente », monsignor Giampietro Fasani, che è l’economo della Conferenza episcopale italiana. Una relazione densa e a più piani, la sua: da «tempi di crisi». A partire dai numeri generali, che preoccupano la Cei: «Fino a qualche mese fa – ha ricordato Fasani – si parlava di 900mila licenziati o cassintegrati, ora l’ipotetica cifra si muove fra 1,2 e 1,5 milioni. Basti pensare che solo a gennaio e febbraio sono entrate in queste categorie 370mila persone». Davanti a numeri simili è facile farsi prendere dalla «frenesia» di voler aiutare. Deve entrare allora in gioco la professionalità di chi, dentro la Chiesa, vive come suo ministero il saper coniugare pastorale e aritmetica. Fasani ha esortato i suoi «colleghi» alla cautela: in primo luogo perché «non è detto che le persone toccate all’inizio dalla crisi siano poi quelle che saranno più in difficoltà». Ma anche perché l’insidia di «facili critiche» è sempre dietro l’angolo: «Senza una griglia che permetta di individuare i destinatari, possiamo essere accusati di superficialità, di preferenze, di miopia». Non solo: «La carità delle nostre comunità è tanta, ma sarà di certo ridotta in futuro». Ergo, bisogna attrezzarsi per utilizzarla al meglio. Molte diocesi si sono già mosse, o predispo- nendo fondi straordinari o potenziando le normali attività caritatevoli. Sia in un caso sia nel-l’altro, ha però avvertito Fasani, non è possibile «fare le cose in modo raffazzonato» perché «non è questo il tempo». Per farlo meglio capire l’economo della Cei ha fatto «un esempio concreto: se abbiamo un milione di euro a disposizione e le famiglie toccate dalla povertà sono tremila, noi riusciremo a dare 334 euro una volta a tutte. E poi?». Da qui deriva l’esigenza di una programmazione straordinaria, per saper meglio rispondere al nuovo contesto sociale. Con una capacità di risposta che deve riscrivere lo stesso approccio avuto finora. Perché Fasani ha avvisato, inoltre, che «avendo modo di incontrare vescovi ed economi, mi accorgo che ci si è troppo adagiati sull’8 per mille». Al punto che molte diocesi prendono da questo canale «oltre l’80% dei loro fabbisogni». Si sta perdendo il «coinvolgimento » dei fedeli nella «responsabilità della vita della comunità». E in alcuni casi si è arrivati all’eccesso di «iniziare a vendere patrimoni immobiliari o terreni per fare fronte alle esigenze 'normali'». Secondo Fasani bisogna saper pensare invece a forme innovative di raccolta fondi e, in generale, bisogna formare gruppi di «competenti» che sappiano sviluppare una «amministrazione corretta e trasparente», per continuare a fare anche di questo servizio «un segno positivo e una testimonianza visibile nel mondo di oggi». Al riguardo Fasani ha citato, come solida base formativa, i due ultimi documenti: l’«Istruzione in materia amministrativa» e «La gestione e l’amministrazione della parrocchia ». Due pietre miliari da cui partire.