Un intero paese, Maschito, in provincia di Potenza e in diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, dovrà rinunciare alla «celebrazione dell’Eucaristia e di ogni altra celebrazione sacramentale o manifestazione cultuale, eccetto la Comunione agli ammalati, l’unzione degli infermi ed il rito funebre». La delicata decisione, sofferta e a lungo meditata, è stata assunta da monsignor Gianfranco Todisco, vescovo della diocesi lucana dopo che, domenica scorsa, nel piccolo centro albanofono che conta meno di duemila anime, la festa patronale dedicata a sant’Elia Profeta non si è svolta secondo le vigenti disposizioni pastorali. In particolare, alcuni cittadini sono venuti meno non solo alle indicazioni della diocesi e della parrocchia ma dello stesso comitato feste: insieme ci si era accordati per il divieto di «attaccare denaro alle sacre immagini » e quindi di appendere soldi sulla statua del santo. Esattamente il contrario di quanto avvenuto domenica scorsa. Subito dopo la celebrazione della Messa, infatti, nell’imminenza dell’inizio della processione della statua del santo per le vie del paese, alcuni maschitani non hanno rispettato gli impegni assunti mesi prima, apponendo i nastri su cui si raccolgono le offerte dei devoti. Il vescovo ha quindi deciso di abbandonare la processione, sostare in chiesa e pregare. «Ho preferito non partecipare ad un evento che non rientrava nei canoni – spiega il presule – e che non era previsto dagli accordi presi con il locale comitato. Proprio per promuovere nella popolazione le nuove indicazioni pastorali, molti giorni prima della ricorrenza avevo fatto diffondere 500 manifesti da me firmati in cui richiamavo, tra l’altro, l’importanza di non far perdere alle feste religiose il peculiare significato di espressione genuina della pietà popolare». Nel manifesto è evidente il riferimento a una norma approvata nel 1991 da tutti i vescovi della Basilicata in cui viene ribadito che «la processione sia una vera manifestazione di fede e non un modo per raccogliere denaro. Anzi si esortino i fedeli a consegnare le offerte al di fuori dei sacri riti. Comunque, è severamente vietato attaccare denaro sulla sacra immagine e mettere all’asta il trasporto della statua (la cosiddetta 'licita'), e ad appendere i soldi alla sacra immagine che si porta in processione». Venendo incontro alle richieste dei cittadini, monsignor Todisco aveva concesso l’autorizzazione alla 'licita' ma per l’ultima volta. «Non voglio togliere nulla alla festa – aggiunge Todisco – e so che le offerte sono importanti per le manifestazioni collaterali e il sostegno delle chiese ma possono anche essere fatte in forma anonima». La questione ha radici antiche: «Lo stesso mio predecessore, monsignor Vincenzo Cozzi – rileva il vescovo –, ha avuto problemi e anche l’opera di alcuni sacerdoti che si sono succeduti a Maschito è stata poco efficace tanto che ultimamente ho assunto io la guida pastorale della parrocchia. È vero che sono soprattutto gli anziani o i malati che maggiormente ci tengono a fare offerte direttamente sulla statua del santo, perché 'si è fatto sempre così, è la tradizione'. Non c’è dubbio che si tratta di un gesto di devozione, frutto di sacrifici e di rinunce. Teniamo presente, però, che ricoprendo l’immagine sacra di soldi, diamo l’impressione di portare in processione non un santo ma il 'dio denaro', e di ostentare, come nel caso della licita, il poco o molto che doniamo». La sospensione dell’Eucaristia – si legge nel provvedimento di «censura» firmato da Todisco in data lunedì 10 agosto – durerà «fino a quando la comunità non accetterà inequivocabilmente le norme universali e particolari stabilite dal Diritto e nella fattispecie quelle emanate dalla Conferenza episcopale di Basilicata nel direttorio del 1991, nonché ogni altro atto di governo posto dal vescovo». Lo stesso lunedì il Collegio dei consultori della diocesi ha espresso «dolore e amarezza » per l’accaduto. In un comunicato i sacerdoti si dicono «solidali» e «in adesione » con le scelte adottate dal vescovo.