Pubblichiamo l’editoriale del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano pubblicato sul numero monografico di «Luoghi dell’infinito» su Giovanni Paolo I.
Il segretario di Stato vaticano ricorda le parole del Pontefice sull’incontro di Camp David che portò agli accordi tra Egitto e Israele, con il presidente Carter come mediatore.
Nell’annus mirabilis di papa Albino Luciani, in occasione della sua beatificazione, la Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I - in collaborazione con il Dipartimento di Teologia dogmatica della Pontificia Università Gregoriana - ha dato vita il 13 maggio scorso al primo convegno di studi su Giovanni Paolo I che si è svolto sulla base delle carte d’archivio e interamente dedicato al suo magistero, punto di riferimento indispensabile per ogni indirizzo di lettura del suo pontificato. Un magistero che esige di essere indagato a partire dalla prospettiva delle sue carte, per la piena riconsegna della memoria di un papa la cui importanza è inversamente proporzionale alla durata del suo breve pontificato. Un’esigenza tanto più motivata dalla stringente attualità del suo messaggio.
Nella sua prefazione al volume curato dalla Fondazione, Il Magistero, che per la prima volta riporta integralmente i testi e i documenti del pontificato di Giovanni Paolo I, il Santo Padre Francesco ha rilevato come «proprio per la fede del popolo cristiano, a cui egli apparteneva, ha potuto rivolgere uno sguardo profetico sulle ferite e i mali del mondo, mostrando quanto anche la pace stia a cuore alla Chiesa».
Su questo tema prioritario del pontificato di Giovanni Paolo I vorrei soffermarmi, traendolo ad esempio, tra gli altri, per la sua stringente attualità. Mi riferisco in particolare al suo appello all’Angelus del 10 settembre 1978 in favore della pace in Medio Oriente, nel quale chiamava alla preghiera i presidenti di fedi diverse: «In questi momenti – affermava –- ci viene un esempio da Camp David. Ieri l’altro il Congresso americano è scoppiato in un applauso che abbiamo sentito anche noi quando Carter ha citato le parole di Gesù: “Beati i facitori di pace”. Io veramente mi auguro che quell’applauso e quelle parole entrino nel cuore di tutti i cristiani, specialmente di noi cattolici e ci rendano veramente operatori e facitori di pace». Del resto, proprio il compito di favorire la riconciliazione e la fraternità tra i popoli, invitando alla collaborazione per «l’edificazione, l’incremento tanto vulnerabile della pace nel mondo turbato», di arginare i nazionalismi e mettere fine, all’interno delle nazioni, alla «violenza che solo distrugge e che semina solo macerie», è - insieme all’impegno ecumenico e interreligioso - posto a priorità nel discorso programmatico di Giovanni Paolo I.
Si tratta di considerazioni che lo portano più tardi a scrivere direttamente al presidente statunitense Jimmy Carter (questa è una delle tessere recuperate nel corpus documentale del pontificato, ora pubblicata nel già citato: Giovanni Paolo I, Il Magistero). Considerazioni presenti con chiarezza già nell’allocuzione al Corpo diplomatico tenuta il 31 agosto 1978, nella quale Luciani, affrancandosi da presunzioni di protagonismo geopolitico, definisce esattamente la natura e la peculiarità dell’azione diplomatica della Santa Sede, che sgorga da uno sguardo di fede. E dunque sulla scia «della Costituzione conciliare Gaudium et spes, come di tanti messaggi di Paolo VI», Giovanni Paolo I si muove nel solco della grande diplomazia, che molti frutti ha dato alla Chiesa alimentandosi con la carità.
In questa prospettiva ciò che si fa a Roma, ciò che si fa a San Pietro interessa il mondo intero. Anzi, quel mondo che non si attende programmi politici dalla Chiesa, né una scelta di blocchi o frontiere, ma il coraggio della prudenza, la parresia di parlare ai potenti con la forza della fede, della santità, della preghiera. Le armi che più contano! Le sole armi efficaci in un’epoca travagliata: anche oggi, sotto i deliri di potenza, sotto l’aridità, sotto l’indifferenza si nasconde una sete illimitata di giustizia, di pace, di spiritualità. E di queste armi ci ha reso incancellabile testimonianza il governo pastorale di Albino Luciani - Giovanni Paolo I. Il suo breve pontificato non è stato pertanto il passaggio di una meteora. Seppure il governo di Luciani non abbia potuto dispiegarsi nella storia, egli ha concorso decisamente a rafforzare il disegno di una Chiesa che con il Concilio è risalita alle sorgenti, e dalla sua fonte evangelica si piega così a servire il mondo, facendosi propter hominem, prossima alle realtà umane e alla loro sete di carità.
Ricordando il suo predecessore, san Giovanni Paolo II affermava che è «sull’insegnamento della carità - la virtù teologale che ha Dio come fonte e come principio, come modello e come premio, e che non tramonterà mai più - che si è chiusa la pagina terrena di Giovanni Paolo I, o meglio, si è aperta per sempre».
cardinale, segretario di Stato vaticano