Papa Francesco a Mosul, marzo 2021 - Ansa
A sette mesi dal viaggio apostolico di Francesco in Iraq, e a circa un anno dalla pubblicazione della enciclica «Fratelli tutti», pubblichiamo un estratto di Ritorno ad Abramo” (Castelvecchi, pagine 94, euro 12,50) in questi giorni in libreria. Addentrandosi nei luoghi visitati dal Papa l’inviato di Avvenire Luca Geronico ne descrive il valore storico e simbolico, come anche i segni di un presente segnato da terrorismo e guerra civile, e aiuta a comprendere la forza delle parole di Francesco che, senza mediazioni e affrontando di petto le ferite del nostro tempo, vanno alle radici della fratellanza umana. Un reportage che vuole portare in luce aspetti meno noti del "viaggio dei viaggi" che, dopo la firma ad Abu Dhabi del "Documento sulla fratellanza umana" del 4 febbraio 2019, rappresenta un secondo passo – concreto e sul campo – nel cammino della fratellanza umana e del dialogo interreligioso. Ripercorrere le tappe del pellegrinaggio di pace in Iraq di papa Francesco – in una terra che nel decennio scorso ha conosciuto terrorismo jihadista e persecuzioni etnico religiose di stampo medievale – è come prendere parte a un laboratorio sulla fratellanza umana da costruire non nonostante, ma attraverso le religioni nel nome della fratellanza universale.
Ripercorrere le tappe del pellegrinaggio di pace di Francesco nella terra di Abramo vuol dire anche far rivivere lo “Spirito di Assisi” della Giornata mondiale di preghiera per la pace voluta da Giovanni Paolo II nel 1987, ma aggiornata al terzo millennio: la ziggurat di Ur, diventa così il simbolo dello "Spirito di Abramo" da riproporre in ogni società e in ogni contesto dove le religioni sono chiamate ad affermare che «non si può uccidere in nome di Dio» e che solo l’accoglienza del fratello, in nome della discendenza dal patriarca Abramo padre dei monoteismi, è la pietra angolare di ogni possibile convivenza.
di Luca Geronico
La ziggurat, imponente, si staglia in lontananza nel silenzio del parco archeologico della città di Ur, appena varcato il check-point dell’esercito. Solo il vento, antico quanto Abramo, e il silenzio, che rimanda alla profondità delle fedi monoteiste, fanno da cornice all’enorme piramide a gradoni che pare ben più alta dei suoi 21 metri.
La terra argillosa è come un soffice tappeto da calpestare lungo i corridoi che dai 27 appartamenti portano all’agorà centrale: la casa di Abramo, circa quattrocento metri a sinistra della ziggurat, sorge sul luogo identificato da una antica iscrizione aramaica. È da questa dimora che, seguendo il racconto dell’undicesimo capitolo della Genesi, Abramo con la moglie Sara, partì per Carran (l’attuale Harran, in Turchia) per stabilirsi poi nella terra di Canaan. È la casa da dove Abramo partì con il padre Terah, la moglie Sara e il nipote Lot. Da qui iniziò il viaggio del patriarca nel cui nome «si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
L’attesa nella piana di Ur sferzata dal vento è grandissima dopo che Jorge Bergoglio – atterrato a Bagdad alle 14 del pomeriggio precedente – ha compiuto di primo mattino la storica visita a Najaf al grande ayatollah Ali al-Sistani. Sul podio rivolto alla ziggurat, a un centinaio di metri dalla casa di Abramo, sono in attesa i diversi leader religiosi dell’Iraq.
Dopo un lunghissimo istante di silenzio Francesco prende la parola: «Questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio».
Il vento scompiglia un poco i fogli in mano al Pontefice, mentre il cielo del deserto si trova ad essere di nuovo il protagonista, circa quattromila anni dopo la partenza di Abramo: «Contemplando dopo millenni lo stesso cielo – prosegue papa Francesco – appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello. Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo. Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare».
Gli occhi fissi al cielo, «non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra, a intraprendere un viaggio che, attraverso la sua discendenza, avrebbe toccato ogni secolo e latitudine. Ma tutto cominciò da qui, dal Signore che "lo fece uscire da Ur". Il suo fu dunque un cammino in uscita, che comportò sacrifici: dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli. Anche a noi succede qualcosa di simile: nel cammino, siamo chiamati a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli».
Le correnti d’aria fanno sobbalzare la mantellina bianca, mentre il Papa con voce piuttosto affaticata legge il discorso che le folate di vento a volte rendono poco comprensibile: «La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace. Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte».
Un cammino quello di Abramo, prosegue Francesco, che «fu una benedizione di pace. Ma non fu facile» dovendo affrontare lotte e imprevisti. «Anche noi abbiamo davanti un cammino accidentato, ma abbiamo bisogno, come il grande patriarca, di fare passi concreti, di peregrinare alla scoperta del volto dell’altro, di condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze».
«Noi, fratelli e sorelle di diverse religioni, ci siamo trovati qui, a casa, e da qui, insieme, vogliamo impegnarci perché si realizzi il sogno di Dio: che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra», conclude Francesco. Il discorso del cielo di Abramo è terminato, è la poesia di Ur come cifra della fratellanza. Tutti si alzano in piedi mentre padre Ameer Jaje legge in arabo la preghiera dei figli di Abramo: «Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo…»