sabato 24 settembre 2011
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A d aiutarci, nel nostro essere cristiani, non è «l’annacquamento della fede», ma al contrario «solo il viverla interamente nel nostro oggi». Per questo nell’attuale mondo secolarizzato, dove «l’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante», i cristiani devono «vivere e testimoniare» insieme il Vangelo senza «cedere alla pressione della secolarizzazione», senza «diventare moderni» mediante, appunto, un «annacquamento della fede».Proposta concreta e, a un tempo, declinazione attualissima di cosa significa oggi l’ecumenismo, e di quale sia la vera sfida che ha davanti, quella che ieri Benedetto XVI ha presentato ai membri del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania. Tanto più forte, in quanto lanciata da quello stesso ex convento agostiniano dove per alcuni anni studiò teologia Martin Lutero e dove, nel 1507 fu ordinato sacerdote, con di fronte i due massimi rappresentanti della chiesa evangelica, la signora Katrin G. Eckhardt e il vescovo Fredrich Weber e la cancelliera Angela Merkel, figlia di un pastore protestante, arrivata a Erfurt per non perdere quello, che nel programma era - ed effettivamente è stato - il momento centrale di questi quattro giorni del Pontefice nella sua patria.Con parole molto chiare, e senza nessuna concessione a possibili, e facili, frasi a effetto, - qualche commentatore, alla vigilia, aveva parlato di un "dono ecumenico" che il Papa avrebbe portato - Ratzinger non ha certo nascosto le distanze che ancora esistono. Allo stesso tempo, tuttavia, ha ricordato come «la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito». È stato questo infatti «l’errore dell’età confessionale», ossia l’«aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico». Certamente è vero, ha quindi aggiunto Benedetto XVI, che, negli ultimi decenni, i cristiani hanno maturato una sempre più profonda consapevolezza della comunione. Ma «il pericolo di perderla, purtroppo, non è irreale»: «Si tratta – ha detto il Papa – del contesto del mondo secolarizzato, nel quale dobbiamo vivere e testimoniare oggi la nostra fede. L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente».E invece, appunto, «non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Questo è un compito ecumenico centrale. In questo – ha detto il Papa – dovremmo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo».Un’idea centrale, questa, che Benedetto XVI ha ripreso più tardi, nel corso della celebrazione ecumenica, affermando che «la fede non è una cosa che noi escogitiamo o concordiamo». E, per spiegarlo ha spiegato la differenza che c’è tra la visita di un capo di Stato ad un paese amico e la visita che un pontefice fa ad una nazione. «Quando un Capo di Stato visita un Paese amico – ha detto – generalmente precedono contatti tra le istanze, che preparano la stipulazione di uno o anche di più accordi tra i due Stati: nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi si arriva al compromesso che, alla fine, appare vantaggioso per ambedue le parti, così che poi il trattato può essere firmato». Ma la fede dei cristiani, ha proseguito, «non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosa che noi escogitiamo o concordiamo. È il fondamento su cui viviamo».Questo è il motivo per cui, ha dunque osservato Benedetto XVI, «l’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi, bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede mediante il pensiero e la vita». Ed è così, alla fine, che la testimonianza ecumenica può in un impegno «molto concreto», soprattutto oggi, in «in un tempo in cui i criteri dell’essere uomini sono diventati incerti» e l’etica «viene sostituita con il calcolo delle conseguenze». Di fronte a ciò noi come cristiani dobbiamo difendere la dignità inviolabile dell’uomo, dal concepimento fino alla morte - nelle questioni della diagnosi pre-impiantatoria fino all’eutanasia».
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