Voto a donne e laici nel Sinodo dei vescovi: rivoluzione no, però...
giovedì 27 aprile 2023

Ho partecipato nel 1999 al Sinodo sull’Europa, ed è stata una grande, bellissima esperienza di Chiesa: un osservatorio sulla Chiesa universale realizzato attraverso la testimonianza diretta di vescovi che dalle varie parti del mondo raccontavano che cosa significasse essere vescovi a Sarajevo, in Ungheria o a Parigi. Eravamo alcuni laici presenti, nell’ordine di qualche unità: veramente pochissimi rispetto alla consistenza del popolo di Dio che stavamo a rappresentare, eppure ci parve un’esperienza straordinaria, un privilegio poter partecipare al farsi del pensiero e degli orientamenti di una Chiesa che riconosceva la necessità di aggiornare la propria conoscenza del tempo e il proprio radicamento in una geografia che, anch’essa, stava cambiando. Partecipammo alle discussioni, ai gruppi di lavoro il cui contributo doveva dar forma al documento finale. Ma quando si trattò di votare quelle stesse proposizioni che avevamo contribuito ad elaborare fummo esclusi.

Ci pareva già tanto quello che avevamo potuto sperimentare, e tuttavia il non poter prendere parte a quell’ultimo atto, il più significativo, ci parve una nota stonata. La scelta di papa Francesco di ammettere al Sinodo un numero significativo di non vescovi, che potranno contribuire con il loro pensiero e la loro esperienza, ma anche con il loro voto, costituisce una novità importante, un vero passo avanti in quel rinnovamento della Chiesa e delle sue prassi ormai urgente e non rinviabile. Certo, è importante che tutte le componenti del popolo di Dio contribuiscano alla elaborazione delle linee della Chiesa del futuro, ma finché la partecipazione non giungerà anche a influire sulle strutture, sulle decisioni, sull’impostazione di fondo, non potrà realizzarsi quella coralità ecclesiale che i laici – e tra essi le donne, e soprattutto i giovani – stanno attendendo. Chi si è messo in ascolto proprio di queste due componenti del popolo di Dio – le donne e i giovani – sa che la loro marginalità rispetto alle prassi decisionali della Chiesa costituisce un grave e decisivo ostacolo alla loro appartenenza. Le donne, soprattutto le giovani donne, spesso decidono il loro allontanamento dalla Chiesa percependola come una comunità non disponibile e integrarle a pieno titolo nella sua vita; quella integrazione nelle dinamiche sociali che quasi sempre le donne sperimentano nella società.

Perché nella Chiesa non devono poter essere accolte nel loro originale pensiero, nella loro esperienza di vita e di Chiesa, nella saggezza di cui dispongono non meno dei loro fratelli? Questa è la domanda che molte donne si pongono e cui finora non hanno avuto risposta. La decisione di ieri è un segnale: piccolo certamente, ma segnale di una nuova mentalità che sembra affacciarsi nella vita ecclesiale. Allo stesso modo i giovani sentono di avere delle risorse da mettere a disposizione della Chiesa e del suo rinnovamento; la loro esclusione dalle responsabilità li fa sentire vittime di un paternalismo che sentono come una mortificazione della loro giovinezza e della loro sensibilità.

Alla Chiesa molti giovani rimproverano di essere fuori tempo, di avere linguaggi e cultura antichi, mentre loro si sentono e vogliono essere persone di oggi: anche come cristiani vogliono essere contemporanei dei compagni di studi e di lavoro, ed esprimere la fede con categorie attuali. Se molti di loro abbandonano la Chiesa è anche perché si sentono esclusi dalla Chiesa stessa. Quindi, benvenuta la riforma dei componenti del Sinodo, decisione il cui significato va ben al di là del suo peso materiale. Alla fine di queste considerazioni, un auspicio: che questo cambiamento a un livello così significativo della vita ecclesiale si diffonda ad altri livelli, raggiunga diocesi e parrocchie, facendo sentire tutti i laici, tutte le donne e tutti i giovani appartenenti a pieno titolo al popolo di Dio.

Pedagogista, già presidente di Azione Cattolica

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