Lo conoscono bene anche i non credenti. In Russia il neo-patriarca è un volto molto noto grazie alla rubrica religiosa La parola di un pastore che da oltre dieci anni Kirill tiene ogni settimana in tv. Ed è conosciuto in Occidente come «il ministro degli esteri» della Chiesa ortodossa russa, abile diplomatico dal sorriso accattivante e dall’inglese fluente. Kirill – al secolo Vladimir Mikhailovic Gundyaev – proviene da una famiglia di ecclesiastici. Suo padre e suo nonno erano sacerdoti (nella Chiesa orientale i pope, a differenza dei monaci, sono di norma sposati). Nato nel 1946 a Leningrado, oggi San Pietroburgo, frequenta l’Accademia teologica dove si laurea a pieni voti. A 23 anni viene fatto monaco e quindi ordinato sacerdote dal metropolita Nikodim che lo vuole accanto a sé come segretario personale. Kirill si è sempre considerato il figlio spirituale dell’arcivescovo di Leningrado, un personaggio che ha segnato la storia della Chiesa russa sotto il cupo regime brezneviano. Dotato di grande astuzia politica sul fronte interno, Nikodim divenne uno dei protagonisti del dialogo esterno con le Chiese d’Occidente fino al punto d’essere considerato filo-cattolico. All’ombra di Nikodim il giovane Kirill sale velocemente i gradini della carriera ecclesiastica: a soli 28 anni viene nominato rettore dell’Accademia teologica e del Seminario di Leningrado, a 30 è ordinato vescovo. Partecipa all’attività ecumenica del Patriarcato di Mosca che nel 1971 lo invia come suo rappresentante presso il Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra. Da quel momento si butta a capofitto nelle relazioni internazionali, uomo di punta nel dialogo inter-religioso. Al tempo stesso svolge il lavoro pastorale nelle comunità russoortodosse della Finlandia. Nel 1979 diventa membro della commissione del Santo Sinodo per l’unità dei cristiani. Nominato arcivescovo di Smolensk nel 1984, cinque anni più tardi viene richiamato a Mosca per ricoprire l’importante incarico di presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato. È il 14 novembre del 1989, pochi giorni dopo la caduta del muro di Berlino. Il nuovo «ministro degli esteri» della Chiesa russa coglie il vento nuovo che soffia ad Est. A dicembre il segretario del Pcus, Mikhail Gorbaciov, incontra Giovanni Paolo II in Vaticano e ridà la libertà alla cosiddetta Chiesa uniate soppressa da Stalin. Kirill approva la svolta, mal digerita invece dalla gran parte della Chiesa ortodossa russa. Ma poi darà voce alle critiche di proselitismo che vengono mosse ai cattolici nell’ex Unione Sovietica, facendosi interprete dei malumori del Patriarcato nei riguardi del Vaticano, con il quale però mantiene aperti i contatti. Anche nei primi anni Duemila, il periodo del grande gelo tra Mosca e Roma. Per la Santa Sede Kirill, braccio destro del patriarca Alessio II, è sempre stato un interlocutore molto apprezzato. Un ruolo che si è accresciuto con il pontificato di Benedetto XVI. «Noi, ortodossi russi, ci sentiamo molto vicini al suo modo di pensare » dichiarò Kirill in un’intervista al nostro giornale qualche tempo fa, ricordando d’aver conosciuto personalmente Joseph Ratzinger nel lontano 1974, quand’era professore universitario in Germania. La denuncia serrata del relativismo e del secolarismo è un leit-motiv che accomuna il pontefice ed il neo-patriarca. Potremmo dire che da oggi c’è un ratzingeriano a capo della Chiesa ortodossa russa. Si conoscono e si stimano – Kirill è stato ricevuto in udienza da Benedetto XVI nel 2006 e nel 2007. Lo storico incontro tra il vescovo di Roma e il patriarca di Mosca è dunque più vicino. Ma l’argomento resta ancora tabù per gran parte della Chiesa russa ed è per questo che, alla vigilia della sua elezione, Kirill ha gettato acqua sul fuoco. Ha dichiarato al giornale Trud che un simile vertice ci sarà dopo che saranno risolti vari problemi ancora irrisolti, ripetendo così il ritornello tanto caro al suo predecessore. E non mancheranno sorprese anche nei rapporti con il Cremlino dove Kirill è considerato una personalità un po’ troppo indipendente. Ma certo non fino al punto di mettere in discussione l’alleanza ormai consolidata tra Chiesa e Stato. (L.Gez.)