È un tempo «di estrema difficoltà». Tempo «di incertezza e di sofferenza». Un tempo «che vede ancora di più nel bisogno e nella precarietà le famiglie, i giovani, coloro che ogni giorno lottano per portare a casa il pane quotidiano, con onestà e con fatica, preoccupati di mantenere integra la propria dignità». Un tempo che sembra investire tutti, in ogni angolo del Paese; che al Sud, però, assume i contorni di una sorta di condanna eterna, senza appello, senza più speranza davanti a mali che, come «i condizionamenti perversi della criminalità organizzata», appaiono incurabili. Ed è questa, alla fine, la grande sfida, e per questo «noi vescovi del Sud siamo qui per riorganizzare la speranza evangelica come presupposto, come struttura, come fondamento del rispetto e dei diritti della gente del Meridione». È stato il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, a introdurre con queste parole i lavori del convegno
Chiesa nel Sud, Chiese del Sud. Nel futuro da credenti responsabili, apertosi ieri a Napoli su iniziativa delle Chiese delle cinque regioni meridionali.
Napolitano: «Incontro che riflette dimensione sociale del fatto religioso». Una grande, visibile assunzione d’impegno da parte di oltre ottanta arcivescovi e vescovi, e più di trecento delegati diocesani per ribadire a vent’anni dal documento della Cei
Chiesa italiana e Mezzogiorno «la nostra volontà di dare ragione – ha detto Sepe – della gioia nostra e della speranza che è in noi: incarnare la Parola di Dio, mettendoci all’ascolto della nostra gente, al servizio del bene comune». Un’iniziativa, come ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio indirizzato a Sepe, letto in apertura di un convegno, che «riflette chiaramente la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, da me richiamata nel primo messaggio al Parlamento. Essa costituisce un esempio – aggiunge il capo dello Stato – della sensibilità e dell’impegno civile della Chiesa e del mondo cattolico specialmente rispetto a una realtà così critica come quella delle regioni meridionali e dunque alla necessità di uno sforzo solidale della comunità nazionale per garantirne uno sviluppo sostenibile ed equo». Un’occasione di incontro e di confronto importante, e sentita.
Il Sud e la globalizzazione. Aperta dall’auspicio espresso dall’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova Vittorio Mondello, presidente della prima sessione dei lavori, che il convegno «possa dare un contributo al documento della Cei che sarà predisposto, come ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, a vent’anni da quello del 1989. Spero che dai nostri lavori emerga una documentazione valida, che non resti solo sulla carta, come purtroppo – non ha nascosto il presule – ho l’impressione sia avvenuto con il documento di vent’anni fa». Certo, ha detto Sepe nel saluto introduttivo, «sappiamo che non è possibile parlare, oggi, del Mezzogiorno, senza aver presenti le difficoltà che l’intero Paese si trova a vivere nel suo insieme», ma non «può consolare il fatto che la crisi del Mezzogiorno italiano deriva proprio dal mondo globalizzato». Per il porporato «sarebbe questa, in sostanza, la causa di una presunta inattualità di una politica espressamente indirizzata al Mezzogiorno. Di fronte alle dinamiche del mondo globalizzato, non ci sarebbe spazio, così si afferma, per localismi fuori dal tempo e, forse, dalla storia. Sempre più si sta dimostrando, tuttavia, che la globalizzazione non può essere un totem e che il valore delle identità, oltre che essere importante in sé, può mettere al riparo dagli squilibri che, spesso, la globalizzazione porta con sé».
«Vogliamo essere protagonisti». Così, davanti a chi evoca l’idea del fallimento, «le Chiese del Sud non possono e non vogliono rassegnarsi, in nome del Vangelo che grida giustizia, pace e verità. Noi, insieme alla nostra gente, vogliamo essere protagonisti dello sviluppo del territorio in cui viviamo e in cui hanno vissuto i nostri padri. Senza vergogna, senza nasconderci le difficoltà. Apparteniamo all’Italia, apparteniamo all’unica Chiesa italiana, ma siamo Chiesa nel Sud», che «vuole far sentire la propria presenza, vuole alleviare i dolori di una popolazione mortificata dai pregiudizi esterni e avvelenata dalle violenze interne». Violenze come «una camorra sempre più invasiva, che condiziona la vita dei cittadini», ha aggiunto più tardi il cardinale ai microfoni di Sat2000, di fronte alla quale «la Chiesa vuole spezzare questo legame mortifero, richiamando tutti a reagire con dignità. Certo – ha aggiunto – le parole non bastano. Il popolo di Dio chiede fatti. Bisogna cambiare lo stile della nostra pastorale. Se usciremo dai palazzi e ascolteremo chi non ha voce riusciremo a fare qualcosa. Bisogna togliere il terreno alla malavita, e offrire a chi vive nella zizzania la possibilità di formazione e di impegno lavorativo».
Le speranze nei giovani. L’ultimo accenno Sepe l’ha dedicato ai giovani, invitati a essere le «sentinelle» di una rinnovata speranza. I giovani, ha sottolineato, hanno dato al Mezzogiorno «molto», pur essendo stati «essi per primi a pagare i prezzi che la mancanza di lavoro, la sopraffazione della violenza organizzata, la rete di clientele, che li ha esclusi da ogni processo produttivo, ha imposto in modo sistematico e talvolta crudele ». Napoli: l’intervento introduttivo del cardinale Sepe ieri al convegno «Chiesa nel Sud, Chiese del Sud. Nel futuro da credenti responsabili» (foto agenzia Controluce)