venerdì 13 gennaio 2023
Il significato di una presenza che si è sviluppata in un’area geopoliticamente e storicamente speciale Parlano Redaelli, Notarstefano, Preziosi e Cappelli
«Nata da donna»: i cent'anni dell'Azione cattolica di Gorizia
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Gorizia, crocevia tra mondo latino, tedesco e slavo. Gorizia, crogiuolo di etnie, lingue e culture, dove anche i meno colti parlavano indifferentemente tedesco, italiano, friulano, sloveno e altro ancora. Gorizia, dove in famiglia si poteva avere il padre tedesco, la madre veneta, il nonno sloveno e la nonna ungherese, per cui tolleranza e predisposizione a ricomporre i conflitti era scritto nel Dna della gente. E infine Gorizia la città del Muro, proprio come Berlino, solo che qui è durato più a lungo: eretto nel 1947 come cortina di ferro tra mondo occidentale e Paesi dell’Est europeo, divise artificiosamente Gorizia e Nova Gorica, tagliò in due case e famiglie, e cadde solo nel 2004. È in questa stra-ordinaria città, cuore della Mitteleuropa, che cento anni fa nasceva l’Azione cattolica diocesana (50 anni dopo l’Azione cattolica italiana), una realtà resa unica dalla specificità della storia locale e dai fermenti culturali che ancora oggi fanno del capoluogo isontino un luogo “diverso”, dove ci si sente in Italia ma si ha sempre l’impressione di essere anche altrove. Un centenario che Gorizia celebra con mostre, libri e convegni.

«Nata da donna, dato che le prime associazioni di Ac in diocesi furono quelle dell’Unione femminile cattolica italiana, l’associazione goriziana ha espresso in cento anni una galleria di uomini e donne che hanno fatto del servizio alla Chiesa e alla società civile la loro cifra», ha detto il presidente diocesano Paolo Cappelli aprendo il convegno «L’impegno educativo dell’Azione Cattolica in 100 anni di storia: quali traiettorie per il futuro», organizzato con l’arcidiocesi di Gorizia. Tre volumi raccolgono in modo agile le biografie di un centinaio di laici e sacerdoti che, semplicemente portando tutti i giorni il Vangelo nelle loro azioni, sul posto di lavoro, tra gli amici, a scuola, nel tessuto cittadino, in punta di piedi hanno cambiato la loro porzione di mondo. « Alcuni sono nomi noti, ma la gran parte sono ragazzi e adulti che senza fare rumore hanno donato l’intera vita per migliorare quella degli altri – continua Cappelli –. Riscoprire queste figure non è archeologia, vuol dire mettere a disposizione delle nuove generazioni un’esperienza che ha dato un grande contributo alla nostra realtà sociale, politica, culturale, economica».

Basterebbe citare il giovane sindaco Michele Martina, che negli anni ’60, quelli della guerra fredda, proprio nello spirito di Azione cattolica e di Gorizia stessa anticipò di decenni la storia europea: con il suo omologo di Nova Gorica, Jožko Štrukelj, organizzò un incontro clandestino delle due giunte comunali «affinché si verifichi l’incontro tra le genti e il confine non sia una linea di divisione come lo sentono Roma e Belgrado», si legge nel verbale segreto di allora. Laici che cambiano la Storia, appunto, e soprattutto le storie, quelle del vicino che ha bisogno o del collega che soffre. «La nostra associazione non ha mai avuto l’ossessione del “chi siamo” ma del “per chi siamo” – sottolinea il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano, docente di Economia in varie università europee, che in Ac milita da quando frequentava le scuole medie –. La nostra è una lunga storia di amore, amore per il Signore e per la costruzione di una comunità intessuta dentro la comunità degli uomini. Non cerchiamo imprese speciali né gridiamo per farci conoscere, ma camminiamo con tutta la Chiesa, obbedienti in piedi. Le tante figure di “laici della porta accanto” sono persone che hanno preso molto sul serio la chiamata ad essere santi».

È l’invito che di recente papa Francesco ha rivolto ai giovani di Ac, quando ha chiesto loro di “abitare” la parrocchia, renderla viva e attuale, diventare forza di trasformazione dell’ambiente che frequentano, come un lievito. E i giovani, numerosi al convegno del centenario, hanno risposto all’appello, chiedendo però con forza un confronto più serrato con gli adulti dell’associazione, «perché le sfide del nostro mondo e le problematiche attuali, con cui facciamo i conti quando siamo con i nostri coetanei, non ci trovino impreparati ». «Come la beata Armida Barelli ha saputo mobilitare il mondo giovanile, così noi oggi dobbiamo uscire da una fede privata, fatta di qualche buona abitudine ma che non incide nella storia – afferma anche Ernesto Preziosi, docente di Storia contemporanea a Urbino e vicepostulatore della causa di beatificazione –. I giovani si raggiungono, ma occorre una proposta forte. Bisogna uscire dalla nicchia ecclesiastica in cui a volte ci arrocchiamo e far sì che dalla nostra vita traspaia chi siamo, mossi da una fede non integralista ma integrale».

«Più che l’azione mi piace la passione cattolica – sorride l’arcivescovo di Gorizia e presidente della Caritas, Carlo Maria Redaelli –, se Gesù è un tesoro, veramente possiamo tenerlo per noi? Non dico che dobbiamo esibirlo, ma non nasconderlo, metterci a disposizione perché ci è stato dato». Preghiera, azione e sacrificio sono il “trinomio” di Ac, ma Redaelli aggiunge il quarto polo, la Parola: «Gli aderenti all’Azione cattolica non sono gli specialisti della parrocchia, ma della santità laicale. E questa diventa immediatamente comunicazione del Vangelo: non potranno non comunicare quello che Gesù opera in loro e nelle comunità in cui vivono».

Quanto a Gorizia/ Nova Gorica, che si apprestano nel 2025 a diventare congiuntamente Capitale europea della cultura, chiede che si cammini insieme, «guai a noi se perdiamo questa tipicità assolutamente unica e particolare». Un anno fa – conclude Notarstefano – Francesco definì l’Azione cattolica «“palestra di sinodalità”. Chiedeva così aiuto ai laici affinché il Sinodo non sia un’esperienza astratta e autoreferenziale, allora il nostro compito è rigenerare la vita della Chiesa, non come attitudine episodica ma come postura, continua e ordinaria». In un’epoca di pessimismo e paura del futuro, l’antidoto è agire per il bene comune: «Come diceva don Tonino Bello “bisogna organizzare la speranza”. Che non è ottimismo, ma immergersi in questo tempo per esprimere la fiducia nel Signore e tradurla nel vivere fraternamente accanto alle domande degli altri: non abbiamo risposte, ma abbiamo la possibilità di vivere insieme».

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