Giovanni Paolo I durante una delle sue quattro udienze generali
Su “Avvenire” di ieri abbiamo dato spazio al dossier inedito preparato per Paolo VI dall’allora vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, su indicazione della Conferenza episcopale triveneta. Un documento di cui era nota l’esistenza e l’orientamento possibilista verso l’evoluzione della dottrina sulla regolazione delle nascite. Si ignoravano invece i contenuti. Nell’articolo di Stefania Falasca si dà conto dei passaggi principali di quella complessa riflessione al termine della quale il futuro Papa giunge a dire: «Il magistero può certo interpretare autenticamente le leggi naturali. Ma, con molta prudenza, quando ha in mano dati certi. Nel nostro caso i dati sembrano tali che o si dica: È lecito, o almeno si dica: non consta, è dubbio. Nel dubbio, non si può accusare di peccato chi usa la pillola». Il dossier sulla contraccezione è ora inserito nel volume ex documentis che, come spiegato ieri in un altro articolo dal vescovo di Belluno-Feltre, Renato Maragoni, «raccoglie lo studio completo e scientifico della documentazione d’archivio e delle testimonianze processuali». Scritto da Stefania Falasca, Davide Fiocco e Mauro Velati, “Albino Luciani Giovanni Paolo I” (Tipi Edizioni - Tipografia Piave), è un testo di oltre mille pagine con la prefazione del cardinale Beniamino Stella, postulatore della causa.
L’approccio alla questione del controllo delle nascite del successore di Paolo VI, Albino Luciani, dieci anni dopo Humanae vitae, appare quanto mai significativo anche oggi. Anzitutto per lo spessore della ricerca nell’approfondimento della dottrina e il metodo conseguito nello studio delle questioni morali. Ma anche per la non formale pronta «adesione all’insegnamento del Papa che parla con speciali carismi nel nome di Dio», l’indomani della pubblicazione dell’enciclica.
Del resto l’allora vescovo di Vittorio Veneto aveva ampiamente dimostrato «la necessità di lavorare insieme, mantenendo però il proprio ruolo ministeriale nella Chiesa, dove non sono applicabili i criteri della democrazia parlamentare» e chiarendo che se «la Chiesa ha bisogno di obbedienza », quella che il Concilio definiva «responsabile e volontaria», è perché seppure è lecito discutere, l’assenso al magistero è «sempre dovuto». Una volta dunque che il Pontefice si era espresso, da pastore autentico si era conformato al Papa aiutando i fedeli a fare altrettanto. «E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della penitenza», ribadì il vescovo con le stesse parole del Papa, per poi precisare di «volerle sottolineate in maniera particolare dai sacerdoti, ai quali il Papa raccomanda 'la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini' ».
Questo sguardo evangelico e dunque misericordioso che caratterizza l’approccio del vescovo Luciani verso ogni questione morale è il medesimo che si ritrova anche alla vigilia dell’elezione alla cattedra di Pietro, in merito alla prima bambina venuta al mondo a seguito di una fecondazione in vitro. Il futuro Giovanni Paolo I, in un’intervista telefonica che concesse alla rivista Prospettive nel mondo nell’estate del 1978 e che venne pubblicata postuma, argomentava e sviluppava a riguardo quattro punti significativi, «in attesa di quanto l’autentico magistero avrebbe dichiarato ».
Egli condivideva «solo in parte l’entusiasmo di chi plaude al progresso della scienza e della tecnica »: cosa sarebbe accaduto – chiedeva – quando quella tecnica «si fosse trovata davanti a figli malformati? Lo scienziato non farà la figura dell’'apprendista stregone' che scatena forze poderose senza poi poterle arginare e dominare? E inoltre, davanti al rischio di un mercato dei figli, la famiglia e la società non sarebbero state in gran regresso più che in progresso?».
Luciani quindi sollevava perplessità, ma non si fermava lì; proseguiva ricordando che Dio, «che vuole e ama la vita degli uomini», volgeva «i più cordiali auguri alla bambina» ed affermava: «Quanto ai suoi 'genitori' non ho alcun diritto di condannarli: soggettivamente se hanno operato con retta intenzione e in buona fede, essi possono avere perfino un gran merito davanti a Dio per quanto hanno deciso e chiesto ai medici di eseguire». Il futuro Pontefice esaminava così la questione della liceità morale dell’accaduto in linea con il magistero di Pio XII (se l’atto medico facilita o continua l’atto coniugale, è lecito; se lo sostituisce o lo esclude, no) ma a chi negava si dovessero porre problemi morali alla scienza, scriveva in conclusione: «La morale non si occupa delle conquiste della scienza, si occupa delle azioni umane, mediante le quali le persone possono usare sia in bene sia in male delle conquiste scientifiche.
Quanto alla coscienza individuale, siamo d’accordo: essa va seguita sempre, sia che comandi, sia che proibisca; l’individuo deve, però, sforzarsi di avere una coscienza ben formata. La coscienza, infatti, non ha il compito di creare la legge. Ha altri due compiti: di informarsi prima cosa dica la legge di Dio; di giudicare poi se c’è sintonia tra questa legge e una nostra determinata azione. In altre parole: la coscienza deve comandare all’uomo, non ubbidire all’uomo ». Come si vede è un atteggiamento che, ancora una volta, sul piano dottrinale è affatto che superficiale e leggero: ma che allo stesso tempo tiene in grande considerazione la delicatezza delle situazioni, il valore della coscienza come tale e l’oggettività di una esistenza che, per quanto venuta al mondo in modo moralmente problematico, a rigor di magistero, non sfuggiva all’amore di Dio al quale non può che conformarsi il ministero apostolico.