«Fra cinquant’anni mi darete ragione e direte che le mie idee sono sempre state le vostre», così don Primo Mazzolari a don Mario Pasini nel loro unico incontro in tutta la vita, descritto all’indomani della morte sulla Voce del Popolo. Lo ricordava giorni fa, Anselmo Palini, anticipandoci un nuovo saggio, alla fine della presentazione del suo «Primo Mazzolari. Un uomo libero» nella Libreria dell’Università Cattolica di Brescia mai così piena di gente. È andata proprio così: anzi ci è voluto molto meno tempo. Perché se è innegabile che la presenza di don Primo sia sempre rimasta viva, magari come fuoco sotto la brace, grazie ai suoi scritti, alle sue registrazioni, i suoi diari, gli epistolari, alle carte d’archivio che ancora consentono di riscoprirlo, proprio la forza delle sue idee profetiche è presto divampata in piena sintonia con quel Concilio Vaticano II annunciato nello stesso anno della sua morte – mezzo secolo fa – e apertosi tre anni dopo. Idee che quanto a povertà, libertà di coscienza, ripudio della guerra, ecumenismo, responsabilità – tra dimensione spirituale e civile, consapevolezza cristiana e tensione etica – non declinavano mai mera teoria ma si riversavano in pratiche quotidiane. Oggi, tornare con la mente a quella domenica del 12 aprile 1959, esige non solo ricordare il congedo dello straordinario arciprete di Bozzolo, ma anche – se così si può dire – la sua «vit- toria postuma» di «obbedientissimo in Cristo». Vuol dire sì andare con la mente a quel lontano tempo di Passione che lo vide – logorato dalle tribolazioni e bruciato dalla febbre – celebrare i riti della Settimana Santa ,poi durante la Messa, il 5 aprile domenica «in albis», colpito da un ictus che gli avrebbe lasciato solo una settimana di agonia. Ma significa – soprattutto – aprire una riflessione sull’eredità di questo straordinario sacerdote che ripeteva «il cristianesimo è Cristo» e «il mio impegno è con Lui». Un prete colto, capace di scritti suggestivi e di caparbia testimonianza, ingiustamente accusato di «filocomunismo» (smentito dai fatti), che solo «in limine vitae» trovò nei suoi confronti alcuni gesti di distensione: come l’invito nel novembre ’57 da parte dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini a predicare alla Missione di Milano, oppure l’udienza con Giovanni XXIII, il 5 febbraio ’59 (ma «La più bella avventura » e altri scritti continuarono ad essere censurati anche dopo la morte). Un sacerdote, che, a parte il «mazzolarismo» di chi ha diviso le sue vesti o ne ha rivendicato un monopolio, ha continuato ad essere «scandalo salutare » per tutti: specialmente nel suo auspicio per una «cristianità in piedi di fronte a una civiltà prona davanti a tutti gli idoli». Che dire poi del suo amore per la «Parola che non passa », ai suoi occhi «fuoco, fermento, vita»? E di lui che sosteneva: «Se cerco di giustificarmi, col Vangelo, di non amare il mio tempo e di non patire per la sua salvezza, so che bestemmio il Vangelo»? Ecco, perché – ha raccontato monsignor Loris Capovilla – quando papa Roncalli ricevette la notizia della sua morte , quel Papa che l’aveva capito commentò: «A soli 69 anni il suo cuore ha cessato di battere, non di amare ». Ci dovrà essere il tempo – e ci auguriamo che le manifestazioni annunciate quest’anno la permettano – per una rivisitazione storica esaustiva che ripercorra tappa dopo tappa la sua parabola umana e il dipanarsi della sua vocazione : le origini contadine, il Seminario, la guerra, il servizio pastorale a Cicognara e Bozzolo, le conferenze, i libri, la stagione di «Adesso » (giornale che – come ha spiegato bene Mario Pancera in un suo libro – ha cambiato l’Italia), sino a svelare la sua personalità più profonda o a consegnarci quella biografia completa fondata su criteri scientifici che ancora manca (pur disponendo di buoni profili come quelli di Carlo Bellò, Arturo Chiodi, Mariangela Maraviglia, ecc.) . E ci dovrà essere spazio per analisi sul suo pensiero teologico ed ecclesiologico, meno indagato di quanto fatto per il pensiero politico. Inoltre sarà interessante anche vedere come – sull’auspicio di papa Benedetto XVI – «il suo profilo sacerdotale limpido di alta umanità e di filiale fedeltà al messaggio cristiano e alla Chiesa, possa contribuire a una fervorosa celebrazione dell’Anno Sacerdotale ». Spunti di riflessione costellano in proposito le sue ultime lettere e il testamento spirituale: «(...) Eppure, viene l’ora e, se non ho la forza di desiderarla, è tanta la stanchezza che il pensiero d’andare a riposare nella misericordia di Dio, mi fa quasi dimentico della sua giustizia, che verrà placata dalla preghiera di coloro che mi vogliono bene. Di là sono atteso (...). Verso questa grande Casa dell’Eterno, che non conosce assenti, m’avvio confortato dal perdono di tutti, che torno a invocare ai piedi di quell’altare che ho salito tante e tante volte con povertà sconfinata, sperando che nell’ultima Messa il Sacerdote Eterno, dopo avermi fatto posto sulla sua Croce, mi serri fra le sue braccia dicendo anche a me: entra anche tu nella Pace del tuo Signore».