martedì 27 gennaio 2009
Con una lettera inviata a Benedetto XVI la Fraternità di San Pio X chiede pubblicamente perdono per le affermazioni sulla Shoah fatte da Williamson, a cui è stato proibito di esprimersi su questioni politiche e storiche.
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Le affermazioni sulla Shoah di monsignor Williamson «non riflettono in alcun caso la posizione della nostra Fraternità». Per questo motivo «io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche». Così, e chiedendo «perdono al Papa e a tutti gli uomini di buona volontà per le conseguenze drammatiche» delle dichiarazioni negazioniste dell’olocausto del vescovo della Fraternità San Pio X, il superiore della stessa comunità tradizionalista, monsignor Bernard Fellay, prende decisamente – e pubblicamente – le distanze da Richard Williamson (Vai al testo del comunicato). Uno dei quattro vescovi lefevbriani, assieme a Bernard Tissier de Mallerais, Alfonso de Galarreta e allo stesso Fellay, ai quali la settimana scorsa Benedetto XVI ha revocato la scomunica in cui erano incorsi latae sententiae per essere stati illecitamente consacrati il 30 giugno del 1988 da monsignor Marcel Lefevbre. Un gesto, in qualche modo, atteso, quello del superiore generale della Fraternità. Anche perché le pesantissime, personali idee di Williamson sull’olocausto – che non sarebbe mai avvenuto, come non sarebbero mai esistite le camere a gas naziste – hanno finito per intrecciarsi con la vicenda della remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, gettando sulla vicenda un’intollerabile ombra. Tanto più oscura se si considera che quelle dichiarazioni erano state rilasciate dal vescovo tradizionalista lo scorso novembre, in un’intervista alla televisione svedese, rilanciata sabato scorso proprio in coincidenza della remissione della scomunica: «Benché noi riconosciamo l’inopportunità di queste dichiarazioni – osserva a proposito Fellay nel suo comunicato – noi non possiamo che costatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità». Dichiarazioni «revisioniste» che sabato scorso il Vaticano, attraverso il portavoce padre Federico Lombardi, aveva immediatamente detto di «non condividere in nessun modo», precisando che la «revoca della scomunica non c’entra assolutamente nulla» e non significa «sposare le sue idee e le sue dichiarazioni, che vanno giudicate in sé». Precisazione importante, quella di Lombardi, a separare nel merito le due vicende. La prima arrivata al termine di un lungo cammino, fatto di contatti e piccoli passi, e che potrebbe portare in futuro al riaccoglimento della Fraternità nella Chiesa cattolica; la seconda, figlia diretta ed esclusiva di Williamson, non certamente nuovo a quel genere di esternazioni (come molti ricordano, e come il suo blog personale dimostra ampiamente a chi ha meno memoria). Sessantottenne britannico, nato anglicano, entrato nel 1972 nel Seminario di Econe e cresciuto all’ombra di monsignor Lefebvre, Williamson è, come ricordato, uno dei quattro vescovi la cui consacrazione, l’ultimo giorno di giugno del 1988, sancì la definitiva rottura tra monsignor Marcel Lefebvre e Roma. Rottura quasi "cercata" dall’ex arcivescovo di Dakar, che poche settimane prima aveva letteralmente stracciato l’accordo già firmato (con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, all’epoca prefetto della Congregazione per la dottrina della fede) proprio per un disaccordo sull’ordinazione di nuovi vescovi per la Fraternità: con Lefebvre che ne voleva quattro, da lui indicati, da ordinare nel giorno da lui deciso, e Ratzinger a ricordargli che le nomine episcopali le fa il Papa.Il presule ribelle decise di andare per conto suo, e inevitabilmente scattò la scomunica latae sententiae. Con la remissione delle scomuniche, il cui Decreto è stato pubblicato il 24 gennaio, il Papa ha voluto rispondere «paternamente» alla richiesta fattagli in tal senso lo scorso dicembre da Fellay (che Benedetto XVI aveva voluto incontrare personalmente nell’agosto del 2005). Con questo, tuttavia, non s’è chiuso lo scisma; i «necessari colloqui per approfondire – come recita il Decreto – con le Autorità della Santa Sede le questioni ancora aperte» dovranno, appunto, dirimere i punti dottrinali, ancora tutti aperti. Con la «speranza» di «arrivare» presto «a togliere lo scandalo della divisione».
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