domenica 30 giugno 2024
A Milano per i 50 anni delle Scuole Faes, promosse da genitori legati all’istituzione che vive il carismadi san Josemaría Escrivá, il prelato, Fernando Ocáriz riflette sul percorso di rinnovamento
L’incontro del prelato dell’Opus Dei, monsignor Ocáriz, con i genitoridegli studenti per i 50 anni delle Scuole Faes, a Milano

L’incontro del prelato dell’Opus Dei, monsignor Ocáriz, con i genitoridegli studenti per i 50 anni delle Scuole Faes, a Milano

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«Nel 1974 eravamo in tutto sette genitori milanesi che volevano creare per i figli una scuola libera in linea con i loro valori. E oggi, guarda qua...». Mario Viscovi si guarda attorno: un migliaio di persone, tra famiglie, maestre e prof delle Scuole Faes di Milano, che alla festa per i 50 anni dell’istituzione educativa paritaria hanno incontrato ieri nel cortile della sede che ospita la materna e le due primarie il prelato dell’Opus Dei monsignor Fernando Ocáriz. Perché questa è una delle tante espressioni della laicità appresa dal carisma di san Josemaría Escrivá, che dell’Opera fu l’iniziatore nel 1928. Libertà personale, responsabilità, amicizia, il Vangelo tradotto in una proposta educativa e sociale aperta a tutti. Ocáriz dialoga per quasi un’ora con le famiglie nel cortile della scuola, – domande e risposte sulla fede, la felicità, il valore delle piccole cose, il servizio agli altri, la centralità dei genitori per la scuola, le prove della vita... – dopo aver risposto alle domande di Avvenire.

Il prelato dell'Opus Dei, monsignor Fernando Ocáriz

Il prelato dell'Opus Dei, monsignor Fernando Ocáriz - larraez

L’Opus Dei è impegnata in un autentico “viaggio”, invitata dal Papa, per riscoprire la freschezza e la forza delle sue sorgenti. In questo percorso cosa sta scoprendo?

In tutte le nazioni in cui è presente l’Opus Dei si stanno svolgendo le cosiddette “assemblee regionali”, previste ogni 10 anni. Sono momenti importanti e belli di confronto e riflessione. Si scopre ogni giorno il desiderio di centrarsi sulle cose essenziali, sul carisma, trovando modi per viverlo e comunicarlo meglio nelle circostanze attuali. Per esempio, da queste assemblee emerge il desiderio di fondare sempre di più il lavoro apostolico dell’Opera sull’amicizia sincera e sulla trasformazione del cuore, più che su strutture, opere o attività.

Il metodo che lei ha indicato per questo “cantiere” è una vasta consultazione che sta coinvolgendo tutti i membri dell’Opus Dei e anche altre persone che non fanno parte della Prelatura. Ci spiega questa scelta, in stile sinodale?

Come l’insieme della Chiesa, anche l’Opus Dei è famiglia e, quando una famiglia deve prendere una decisione importante (sfide o priorità) si ascoltano tutti. Ci siamo consultati con la Segreteria del Sinodo, che ci ha incoraggiato a vivere le assemblee regionali della Prelatura come speciale momento di ascolto. Ogni assemblea ha avuto momenti di incontro a livello locale, con gruppi di discussione, questionari, scambi intergenerazionali. Questo processo è stato contemporaneo alla partecipazione di tanti membri dell’Opus Dei alle fasi diocesane del Sinodo sulla sinodalità nelle rispettive diocesi.

L’Opus Dei sta anche avviandosi al centenario della fondazione: quali sono i passi previsti, e cosa ci si attende da questa lunga preparazione?

Negli anni che mancano al centenario vogliamo interrogarci sui bisogni e le sfide della Chiesa e del mondo. Vogliamo approfondire la nostra identità e studiare come l’Opera possa contribuire alla santificazione della vita ordinaria attraverso il suo carisma. In questo tempo, quindi, guarderemo all’insieme – la Chiesa e il mondo – e all’interno – l’Opera –, nella speranza che i nostri sguardi convergano in un momento di grazia. Quando penso al centenario dell’Opus Dei mi viene in mente una preghiera che il beato Àlvaro rivolgeva personalmente a Dio: «Grazie, perdonami, aiutami di più». In un certo senso, è un momento per vivere tutti quest’aspirazione.

Come sta procedendo la revisione degli Statuti?

Come diceva il Papa, si tratta di fare in modo che gli aggiustamenti preservino il carisma e la natura dell’Opus Dei, senza costringerlo o soffocarlo: ad esempio, sottolineando il suo carattere secolare, e il fatto che più del 98% dei membri sono laici, uomini e donne che vivono la loro vocazione in strada, in famiglia, nel lavoro. A tale scopo, è in corso una serie di riunioni tra alcuni rappresentanti del Dicastero del Clero e quattro canonisti dell’Opus Dei, tre professori e una professoressa. Poiché siamo ancora nel pieno di questo processo non posso fornire ulteriori particolari. Ma posso assicurare che il lavoro viene svolto in un clima di dialogo e di fiducia.

La laicità così propria dell’Opus Dei, con l’idea centrale della santificazione del lavoro e della vita quotidiana, è uno dei caratteri più importanti anche della Chiesa in tutto il post-Concilio: è come se il “tesoro” dell’Opera fosse diventato un patrimonio di tutta la cattolicità. Oggi questo tratto così importante del suo spirito sta dicendo qualcosa di nuovo all’Opus Dei?

Ricordo che il giorno della canonizzazione di san Josemaría un riconosciuto leader sindacale della Polonia disse ai giornalisti che come rappresentante dei lavoratori si sentiva in festa perché avevano acquisito un loro nuovo “patrono”. In realtà la santificazione del lavoro è un tesoro che ci ha evidenziato Gesù nei trent’anni di vita nascosta, lavorando e mantenendo così la sua famiglia. San Josemaría lo ha ricordato con particolare forza. Oggi che questo messaggio è diventato patrimonio di tutta la Chiesa c’è ancora tanto da fare per riscoprire il ruolo fondamentale dei laici, la loro responsabilità ecclesiale e le infinite possibilità di una evangelizzazione nella società.

I laici sono la quasi totalità dei membri dell’Opus Dei, immersi dunque nelle realtà del mondo, attenti a quel che accade, dalle grandi ferite dell’umanità alle nuove opportunità che si aprono. In che modo l’Opera partecipa a cambiamenti e sofferenze del nostro tempo?

Le guerre in corso, il problema della solitudine e della povertà, e in generale la sofferenza di tante persone non possono rimanere a livello di notizia ma devono coinvolgere ognuno. Nelle sue catechesi in Sud America san Josemaría incoraggiò migliaia di persone ad avere un cuore grande, imitando Cristo in croce che aveva le braccia spalancate per accogliere tutti, senza alcuna distinzione. È così che ogni membro dell’Opera agirà per alleviare le sofferenze, portando l’amore di Dio fino agli angoli più remoti della società. Dio affida a tutti i battezzati il compito divino di costruire il mondo (la famiglia, il quartiere, il progresso, le arti, lo svago) come suoi figli.

Laicità significa anche essere pronti ad affrontare le nuove sfide: cosa si attende dai membri dell’Opera, e cosa vede nascere in giro per il mondo di nuovo per loro iniziativa?

Le iniziative dei membri si adattano e nascono in base alle nuove esigenze. Ad esempio, a Madrid è sorto l’ospedale “Laguna” per assistere i malati terminali; persone dell’Opera con i loro amici in Colombia hanno creato un gruppo per il sostegno dei detenuti in carcere; mi giunge notizia di altri che, nei Paesi dell’Est Europa, accolgono le famiglie vittime della guerra; mi è anche particolarmente cara l’iniziativa di famiglie che aiutano altre famiglie a vivere cristianamente, essendo un sostegno le une per le altre e allargando quell’aiuto ad altri amici, coppie... Sono alcuni esempi per combattere le povertà materiali e spirituali, che ci rimandano a quello che ha fatto san Josemaría sin dagli inizi con i malati e i bisognosi della Madrid degli anni Trenta del secolo scorso, cercando di coinvolgere i primi giovani che lo frequentavano. Ma la risposta alle nuove sfide sociali si concretizza in modo particolare attraverso il lavoro professionale, cercando di generare rapporti di giustizia – condizioni di lavoro, pagamento delle tasse... –, di servizio, di amicizia. La dimensione sociale del cristiano, pur con manifestazioni diverse, dovrebbe interpellare tutti per cercare di trasformare la nostra vita in una donazione, in una semina di pace e di gioia.

Escrivá ricordava spesso ai suoi figli spirituali il dovere di «servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita»: oggi come legge questa sua celebre frase?

Direi che il suo senso non è cambiato dal giorno in cui è stata pronunciata: l’amore alla Chiesa e al Papa è nel dna del messaggio di san Josemaría. Da un punto di vista pratico, questo si traduce nell’aiutare il più efficacemente possibile nelle diocesi in cui i membri dell’Opus Dei vivono e a cui appartengono. Ad esempio, sono molti i laici che collaborano attivamente alla catechesi o ai corsi prematrimoniali nelle loro parrocchie, alle iniziative di servizio come la Caritas, alle attività con i giovani, e così via. Allo stesso modo, ricevo numerose richieste da parte di vescovi diocesani che chiedono a questo o a quel sacerdote di collaborare in una parrocchia, in un ospedale, in un servizio della diocesi. Ogni qualvolta è possibile, siamo felici di collaborare.

Che cosa indica oggi un’iniziativa tipicamente laicale come quella delle Scuole Faes (Famiglia e Scuola, appunto), che coinvolge persone legate all’Opera e tanti loro amici, anche non credenti?

Cinquant’anni di questa istituzione sono un patrimonio importante che è stato messo al servizio della famiglia nella educazione dei figli. Sono contento di questo traguardo e incoraggio le famiglie a continuare a impegnarsi su questa strada, con quella simpatia e capacità di soluzione dei problemi così tipiche degli italiani.

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