A Natale la Siria, Paese al 90% di religione islamica, ha vissuto con ancora maggiore intensità l’esperienza del dialogo tra le culture, sull’esempio della conversione di san Paolo. « Questo Natale – spiega monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo – è stato all’insegna della convivenza che qui è facilitata anche dal rispetto reciproco tra musulmani e cristiani » . Nel Paese la celebrazione della Natività è preparata solennemente in tutte le parrocchie cristiane. Agli aspetti liturgici e della festa partecipano in particolare i giovani, mentre le organizzazioni di carità raddoppiano gli aiuti per i più poveri, gli anziani e le famiglie disagiate, con l’invio di generi di prima necessità. L’attenzione riguarda in particolare il milione e mezzo di rifugiati iracheni, di cui almeno 40mila sono cristiani. Di questi, circa 15mila vivono tra Damasco e Aleppo. Non mancano le decorazioni luminose sulle facciate delle Chiese cattoliche e ortodosse e nelle case dove abitano i fedeli. Un colpo d’occhio certo non frequente in altri Stati a maggioranza musulmana. Ma nelle città il governo siriano non contribuisce agli ornamenti natalizi. La Costituzione del Paese, infatti, prevede una sorta di ' neutralità confessionale', anche se decorazioni e celebrazioni non sono soggette a limitazioni o restrizioni da parte delle autorità civili. Radio e tv siriane trasmettono ogni anno vari servizi sulle celebrazioni natalizie. E grazie all’Anno Paolino cresce nel Paese anche la presenza dei turisti, molti dei quali italiani. Tra le mete di pellegrinaggio, il piccolo villaggio di Maalula, 2mila abitanti, 60 chilometri a nord di Damasco sulla strada per Aleppo, 1.400 metri sopra il livello del mare. Nel monastero di San Sergio, dove vive un’antica comunità di religiosi melchiti – cattolici di rito greco – incontriamo padre Faez Fregiat, che ci parla della chiesa del convento, « tra le più antiche, come è stato scientificamente provato » . « Nella struttura vi è legno di cedro esaminato al carbonio 14 in Germania. Ci hanno detto che risulta vecchio di 1800 anni » . Maalula è famosa per l’uso dell’aramaico, la lingua di Gesù, e il monastero di San Sergio è visitato anche da parte di musulmani. « Vengono, ma non pregano in Chiesa. In questo periodo abbiamo fedeli islamici dall’Iran » . Nel convento, i religiosi melchiti si impegnano perché i giovani continuino a parlare e scrivere in aramaico. « Traduciamo dall’arabo – spiega padre Fregiat –. C’è anche un istituto fondato dal governo siriano per studiare l’antica lingua». Damasco in questo periodo, racconta il Gran Muftì di Siria, Ahmad Badr al- Din Hassoun, « ha rappresentato la capitale della cultura araba, ma nello stesso tempo è la capitale dell’Anno Paolino. Sarei molto lieto – confida l’alto esponente musulmano – se il Papa accettasse il nostro invito a visitare la Siria, sperando di avere in questo modo un ruolo che ci permetta di piantare il fiore della pace nel Medio Oriente » . Padre Paolo Dall’Oglio, gesuita, guida una comunità nel deserto siriano. È il monastero di Mar Musa el- Habaschi, 80 chilometri a sud di Damasco. Collegato alle antiche vie di pellegrinaggio verso Gerusalemme, il monastero venne fondato da una comunità di monaci bizantini del VI secolo. La comunità di Mar Musa prega e lavora per testimoniare, in terra musulmana, la possibilità di una vita quotidiana comune tra cristianesimo e islam, a partire dall’Anno Paolino. « A me pare che nella Siria di oggi, la Chiesa che è plurale, che è una Chiesa di una ricchezza ecumenica straordinaria, possa – nella sua pluralità – essere una Chiesa di armonie e anche una Chiesa innamorata dei non cristiani per mostrare questo Cristo che ama ciascuno e tutti. La Siria – sottolinea padre Dall’Oglio – è un esempio per il dialogo tra le religioni che non deve diventare un’eccezione. Bisogna quindi fare attenzione nella compagine internazionale a non entrare in logiche di conflitto che possono rendere questo secolo veramente drammatico e tragico » . Un equilibrio difeso da padre Antonio Musleh, religioso melchita, parroco di San Giovanni Damasceno a Damasco . « In Siria – racconta – vi sono diversi elementi da considerare. Il primo sta nella natura delle persone: la nostra gente ha una natura pacifica ed ha vissuto così per 14 secoli » . Oggi, grazie ai mezzi di comunicazione, il fondamentalismo è conosciuto in tutto il mondo: ma se in Siria c’è ancora equilibrio – non ha dubbi padre Musleh – è grazie al governo e al presidente che cercano di mantenere tale equilibrio fra le comunità religiose » . «Grazie al Signore – prosegue Musleh – in Siria i cristiani stanno abbastanza bene. Posso dire che il Paese sia un modello per la convivenza di tutte le comunità religiose, anche per i non cristiani, i musulmani e, prima che lasciassero il Paese, anche gli ebrei » . Il religioso melchita spiega il processo di integrazione con i cristiani in fuga dall’Iraq che arrivano in Siria. « Bisogna distinguere, nota, tra due gruppi. Quelli venuti avendo come progetto vivere e rimanere in Siria. Questi cristiani cercano di integrarsi lavorando o cercando un lavoro, una casa. Poi ci sono i cristiani che sono venuti solo con l’idea di avere un visto per andare in Occidente, credo che questi ultimi possano creare qualche problema di coabitazione » . Ma padre Faez Fregiat, del convento di Maalula, teme « lo sviluppo del fanatismo islamico» nei Paesi vicini alla Siria. « In Egitto i fratelli copti hanno molta difficoltà. A Damasco – ricorda –, il governo non ammette il fanatismo che è nemico anche dell’Islam» .