martedì 19 marzo 2013
La festa e la preghiera delle baraccopoli di Buenos Aires. A migliaia si sono riversati, ieri notte, nella centrale Plaza de Mayo per partecipare alla veglia notturna. Così la capitale argentina ha deciso di attendere la prima Messa del «suo» amato Papa. (di Lucia Capuzzi)
IL RACCONTO L’emozione di Maria Elena: «Mio fratello, il Papa»
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​«Que viva el Papa!». La folla, radunata intorno al bus scassato affittato per l’occasione, risponde in coro: «Viva». Una moto malandata irrompe dal vicolo sterrato verso lo spiazzo dov’è radunata la gente. È incredibile che passi indenne per quell’imbuto così stretto dove a malapena si riesce a camminare. Il giovane, rigorosamente senza casco, molla il manubrio per mostrare il pollice alzato in segno di vittoria. E grida a perdifiato: «Que viva el Papa villero». A quel punto l’esplosione di entusiasmo è incontenibile. Chi applaude, chi grida, chi alza e agita a mo’ di bandiera la foto che lo ritrae col “suo” Papa. Gli scatti sono centinaia. In qualcuno, l’allora cardinale Jorge Bergoglio compare inginocchiato, mentre lava i piedi a una giovane vittima del paco – la cocaina dei poveri – in cerca di riscatto. In altre, è seduto a sorseggiare mate sulle panche di legno appena fuori dalla chiesa del Cristo operaio. Lo circondano uomini e donne dai vestiti sbiaditi, strappati a volte, umili ma dignitosi. Il popolo dei “villeros”, gli abitanti delle villas miserias – le baraccopoli – della capitale argentina: almeno 300mila persone secondo le stime più caute. Per loro, Francesco «è uno di noi», dice Soledad, 15 anni, nata nella Villa 31 da una coppia di immigrati irregolari boliviani. La ragazzina ha messo i jeans e i tacchi per “El viaje (il viaggio)”. A migliaia e migliaia da tutte le villas porteñe (di Buenos Aires) hanno deciso di riversarsi ieri notte – con mezzi di fortuna presi a prestito o affittati – nella centrale Plaza de Mayo, centro nevralgico della città. Per partecipare alla veglia notturna con cui Buenos Aires attenderà la prima Messa del “suo” Papa. Qui comincia all’alba, le 5.30 di oggi, e verrà trasmessa in diretta attraverso due mega-schermi.«Certo che vado! Vuol dire che arriverò al lavoro assonnata», afferma Juana. La padrona dell’appartamento dove fa le pulizie non ha voluto concederle il giorno libero. Alla veglia, però, Juana e suo marito Darío non rinunciano: «Ma lo sa che ha battezzato mia figlia?», dice.È ancora pomeriggio ma la Villa 31 è in fermento: si parte alle 22.30, l’organizzazione, però, è complessa. Qui le reti sociali funzionano poco. Meglio radunarsi tutti nel piazzale di fronte alla chiesa e aspettare. Dove, alla sinistra, si trova la tomba di padre Carlos Mujica. Tra i fondatori, negli anni Sessanta, del movimento dei “sacerdoti villeros”, quelli che decisero di dedicare vita e missione ai dimenticati delle baraccopoli. Nel senso più drammaticamente letterale nel caso del Padre Mujica, assassinato durante la dittatura proprio per il suo impegno. «I resti furono trasportati qui dal cimitero della Recoleta nel 2005. Il cardinal Bergoglio insistette per celebrare lui la Messa», racconta padre Pepe De Paola, colui che nel 2009 fu scelto dall’allora arcivescovo della capitale per guidare la neonata «vicaria de las villas». «Quello è stato il culmine di una serie di azioni intraprese da padre Jorge fin da quando era vescovo ausiliare. Prima i sacerdoti villeros erano 8, ora siamo 22. Da arcivescovo, appena aveva qualche fondo, lo donava alle villas per aprire mense, centri per ragazzi, per i tossicodipendenti. La sua era un’opzione chiara per i poveri. Anzi per i più poveri fra i poveri, i villeros», racconta padre Pepe, appena rientrato nella capitale da cui ha dovuto allontanarsi alcuni anni per aver ricevuto minacce di morte dai trafficanti, e ospite della Villa 31, in attesa di insediarsi nella Villa San Martín. «Ho sempre detto quello che penso. E ne ho pagato le conseguenze. Per questo, quando affermo che padre Jorge è un uomo e un pastore straordinario è perché ne sono profondamente convinto. Pure a lui ho sempre detto come la pensavo. Anche del San Lorenzo», ride.«Ah sul calcio non devo obbedienza al Papa», scherza padre Gustavo Carrara che ha sostituito Pepe come guida della vicaria. All’entrata del minuscolo ufficio, nella parrocchia di Santa Maria del Pueblo, nella Villa di Bajo Flores, è appesa una maglia del Boca. Nel campetto da calcio sul retro, la folla attende. Anche dal Bajo Flores hanno organizzato “le viaje” per plaza de Mayo. “Noi andremo col bus numero 70. Lo stesso che veniva padre Jorge per venirci a trovare. E lo faceva spesso. Ora noi facciamo il tragitto inverso e credo che lui ne sarebbe felice. L’integrazione tra baraccopoli e città è sempre stato il suo obiettivo". «Ma lo sa che prima le villas non erano nemmeno indicate sulla mappa della città?», afferma padre Toto De Vedia, parroco della Villa 21-24. In attesa del viaje, qui la gente prepara il “mural”. Nella parete sinistra del garage-salone parrocchiale appenderanno un collage con tutte le foto dei villeros insieme a padre Jorge. «Vede, questa è quando mi ha cresimato, l’8 dicembre», racconta Marcos, 28 anni, dai 12 ai 25 fumatore incallito di paco. Poi, grazie all’Hogar de Cristo, uno dei centri di recupero nati grazie al sostegno del cardinal Bergoglio, ha smesso. «Che cosa voglio fare ora? Qualcosa per gli altri. Come mi ha insegnato padre Jorge».
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