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Indirizzare e verificare le attività, la programmazione e la progettualità della Pul, dal punto di vista accademico, scientifico e didattico, nonché la sua gestione amministrativa, economica e finanziaria. Questo il compito del Consiglio superiore di coordinamento della Pontificia Università Lateranense (Pul), del quale il Papa ha nominato ieri i membri, fra i quali vi sono otto laici (di cui due donne). I nomi: l’arcivescovo Alfonso V. Amarante, rettore della Pontificia Università Lateranense; monsignor Riccardo Ferri, pro-rettore della Pul; Sabrina Di Maio, direttore gestionale Pul; Immacolata Incocciati, segretario generale Pul; monsignor Roberto Campisi, assessore per gli Affari Generali, Segreteria di Stato; Luis Herrera Tejedor, direttore della Direzione per le Risorse umane della Santa Sede, Segreteria per l’Economia; Paolo Nusiner, direttore generale dell’Università Cattolica, direttore per gli Affari Generali del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, presidente dell’Ospedale Isola Tiberina - Gemelli Isola; Stefano Fralleoni, dirigente dell’Area Servizi e del Controllo gestione dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica); Aldo Fumagalli, presidente di Beldofin srl e amministratore delegato di Albe Finanziaria; Giacomo Ghisani, direttore del Segretariato per le Partecipate, gli Affari Generali e Giuridici della diocesi di Cremona; Mimmo Muolo, vaticanista e vice caporedattore di Avvenire. La comunità studentesca della Lateranense ha raggiunto nel 2023-2024 le 1.137 unità. Gli studenti provengono da Europa (657), Africa (180), Asia (169) e Americhe (130). I laici sono 421, gli ecclesiastici 347, i religiosi 290 e i seminaristi 79. A commentare la nomina del Consiglio per Avvenire è il rettore, l'arcivescovo Alfonso Amarante.
Il rilancio dell’“università del Papa” passa anche dal contributo delle esperienze e delle professionalità dei laici. La Pontificia Università Lateranense (Pul) vuole fare di meglio e di più, e per questo, nel rinnovato Consiglio superiore di coordinamento della Pul, assieme al rettore, l’arcivescovo Alfonso Amarante, e ad altri due ecclesiastici, sono stati scelti otto laici, tra cui due donne (per le nomine papali si veda il box qui sotto). Per lavorare su tre fronti: elaborare un piano di sviluppo che tenga conto della missione dell’ateneo; individuare strategie di comunicazione per promuovere l’Università Lateranense; pianificare strategie per la raccolta di fondi.
Monsignor Amarante, che valore ha per la Pontificia Università Lateranense questo Consiglio superiore di coordinamento?
È previsto dagli statuti dell’Università, ma il Papa, quando ad agosto mi ha nominato rettore, ha chiesto che il Consiglio prendesse ancora di più in mano le sorti dell’Università, da un punto di vista “politico” e amministrativo. E la presenza dei laici in questo organismo è una ricchezza enorme: vengono del mondo accademico, gestionale, della comunicazione. Un grande supporto alla nostra missione.
Su quali direttrici si svolgerà il lavoro?
Quelle del Dna della Lateranense: insegnare materie teologico-canonistiche. Ma il Consiglio è chiamato a un piano di sviluppo sull’offerta delle materie non canoniche e non teologiche – già c’è Diritto civile, Scienza della pace, ora Ecologia e ambiente – e a diffondere nel mondo la conoscenza della Pul.
Il nuovo Consiglio dovrà anche consigliarla sulla componente gestionale. E il Papa ha chiesto di cercare risorse esterne.
È una sfida enorme. Il Papa e la Chiesa credono nella Pul, nell’istruzione in genere. E continuano a investire. Lo sforzo economico nella cultura non ha un rientro nell’immediato. Quando fu costruita la Cappella Sistina, il Papa di allora venne accusato di sperpero. Oggi è un patrimonio dell’umanità, che illustra la bellezza e comunica il messaggio salvifico. Ora ci viene chiesto di trovare partner per la nostra missione. I primi sono gli ex studenti dell’Università, ma a livello mondiale, oltre gli episcopati, ci sono tanti uomini e donne di buona volontà che condividono questa visione.
Il rinnovamento dell’università andrà anche nel senso del dialogo con la cultura laica?
Per il Santo Padre le università pontificie, in particolare la Lateranense, devono essere luogo di studio e di ricerca, ma anche di incontro culturale. Oggi lo strumento di dialogo per eccellenza è la cultura, in cui la Chiesa ha ancora da dire la sua. Fino al ’900 la cultura generalmente era fatta in ambito cattolico, con un linguaggio oggi non più adeguato. Il Papa parla di una teologia capace di avere carne e corpo, cioè di parlare lo stesso linguaggio del popolo di Dio, spesso distante dal nostro. La sfida è trovare i canali giusti per declinare il sapere teologico in sapere di vita. Se parlo di anima, immanenza, spirito, la maggior parte delle persone non capisce. Bisogna trovare nuove forme di comunicazione per far capire la bellezza della vita eterna, il senso salvifico della nostra fede. La teologia è guardata quasi con sospetto dal mondo laico, a volte nemmeno considerata come una vera scienza. Invece è una scienza del cuore, capace di dialogare con l’uomo di oggi, a partire dalle domande di senso.
Un primo segnale di rinnovamento è il monologo affidato a Giacomo Poretti - del trio Aldo Giovanni e Giacomo - all’inaugurazione dell’anno accademico, il 13 novembre?
Lo abbiamo scelto perché riesce con l’ironia a parlare a una platea molto più grande di quella che potremmo raggiungere. Parlerà dell’anima, indispensabile anche per costruire una nuova università. Un modo per fare da ponte nel dialogo culturale tra il mondo teologico, canonistico, giuridico, e il mondo laico.
Che valore hanno i corsi di Scienza della pace e di Ecologia e ambiente?
Questi due cicli nascono dalla Fratelli tutti e dalla Laudato si’. Per creare un corso di studi serve una proposta forte assieme a una progettazione con investimento sui docenti. Ci sono altri progetti, dovranno essere inerenti al magistero ma anche riconosciuti dallo Stato italiano, per offrire sbocchi lavorativi anche agli studenti laici.
Il corpo studentesco della Pul è multiculturale. Condiziona le scelte dell’ateneo?
Io parlerei di opportunità. Siamo una delle poche università pontificie con un corpo studentesco composto per il 40% da laici italiani, che studiano materie civilistiche. Il resto sono per lo più stranieri indirizzati alla vita religiosa. Il corpo docente si va internazionalizzando, siamo chiamati a trovare nuovi metodi comunicativi, sempre usando l’italiano: non avrebbe senso a Roma, dove si respira la cattolicità, studiare in inglese.
In definitiva, quali sono i tratti distintivi dell’Università del Papa?
Dal 1773, quando fu fondata, approfondisce il magistero petrino e lo sviluppa. E questo dobbiamo continuare a fare anche con i nuovi cicli di studio che offrono ai giovani laici una formazione culturale cristiana.
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