El Salvador. Cecilia, la signora guarita miracolosamente, il marito Alejandro e i loro tre figli
Mejicanos, cintura urbana di San Salvador. Il sobborgo riempie le pagine dei giornali per la brutalità delle maras, le gang che tengono in ostaggio ampi “pezzi” del Paese. Nella casa di Cecilia Flores e Alejandro Rivas, però, non c’è traccia della tensione esterna. Il vociare allegro dei bambini - Emiliano, Rebeca e Luis Carlos - è il sottofondo costante.
La mattina è una rincorsa. Sveglia all’alba, colazione, poi si parte: i piccoli vanno alla scuola materna, Alejandro lavora come tecnico, Cecilia corre frenetica dietro alle varie incombenze domestiche. «Sto di nuovo bene e ho voglia di fare». Due anni e mezzo fa, la donna è stata a un passo dalla morte. La sua guarigione miracolosa, per intercessione del beato Óscar Arnulfo Romero - come la Santa Sede ha riconosciuto il 6 marzo -, porterà nei prossimi mesi alla canonizzazione dell’arcivescovo-martire. «E dire che prima quasi non conoscevo Monseñor (come i salvadoregni chiamano Romero, ndr). Il fatto è che ne avevamo sentito parlare molto male. E ci era rimasto un pregiudizio inconscio», aggiunge Alejandro. La coppia - 35 anni lei e 42 lui - appartiene alla generazione cresciuta in bilico tra guerra civile e difficile ricostruzione.
Un’epoca in cui l’arcivescovo, assassinato il 24 marzo 1980 per la sua denuncia profetica degli abusi della dittatura e la difesa dei poveri, è stato oggetto di una diffamazione crudele e sistematica. Perfino dentro la Chiesa non sono mancate le critiche. Con l’avanzare del processo canonico e il riconoscimento del martirio, il clima è mutato. «Il 23 maggio 2015 ho insistito con Cecilia per partecipare alla beatificazione. Non tanto, però, per devozione nei confronti di Monseñor, quanto poiché si trattava di un momento storico», racconta Alejandro. «Ero al quinto mese di una gravidanza molto complicata. Mi sentivo sempre stanca. Alla fine mi sono lasciata convincere…», lo interrompe la moglie. Data l’imminente nascita, entrambi hanno chiesto al nuovo beato di proteggere il piccolo. «E così ha fatto, anche se noi eravamo stati tiepidi verso di lui…», sottolinea Alejandro. I fatti hanno preso una piega imprevista alla fine della successiva estate.
«Avevamo fissato il cesareo il 3 settembre. Ma Cecilia stava male, così il 27 agosto l’ho portata in ospedale. Luis Carlos è nato nei primi istanti del 28 agosto. È stato un momento magico. Non mi sentivo così felice dalla luna di miele…». Poi, però, Cecilia si è aggravata. «I dolori all’addome si sono fatti sempre più forti. Quando la vista si è offuscata, ho capito che me ne stavo andando…». Dopo un’operazione d’urgenza i medici hanno scoperto che la donna aveva contratto una rara malattia, la sindrome di Hellp. «Al termine dell’intervento hanno dovuto indurle il coma. Quando l’ho vista, distesa e immobile, il suo corpo forato da 14 tubi, gli occhi sanguinanti, ho capito che l’avrei persa. Il dottore me l’ha confermato: “Non possiamo fare più niente. Se crede, preghi”. Ero disperato. D’un tratto, verso le 2 del mattino, ho ritrovato per caso la Bibbia di mia nonna Rebeca. Lei sì, era tanto devota di Romero. Da bambino me ne parlava come di un eroe. Di solito non prego con la Bibbia, quella volta, però, l’ho aperta. Tra i fogli c’era un’immagine dell’arcivescovo. D’istinto mi sono rivolto a lui: “Mia nonna mi ha raccontato che avevi un grande amore per il popolo salvadoregno. Ti supplico, intercedi per la mia Cecilia“».
La mattina successiva, in clinica, Alejandro ha scoperto che gli organi interni della moglie avevano ricominciato a dare piccoli segni di funzionamento. «Romero mi aveva ascoltato. Allora ho chiesto agli amici neocatecumenali, di cui Cecilia e io condividiamo il cammino, di unirsi alla mia preghiera», conclude Alejandro. Meno di una settimana dopo, Cecilia Flores è uscita dal coma ed è stata dimessa. «Quando mi hanno raccontato del miracolo sono rimasta incredula. Le testimonianze di quanti avevano pregato per me, però, mi hanno convinta. E sempre loro mi hanno spinto a sottoporre il caso all’ufficio incaricato della canonizzazione. Piano piano, ho cominciato a scoprire davvero Romero: le sue omelie magnifiche, la sua fede, il suo coraggio. Appena saputo del riconoscimento del miracolo, con Alejandro, abbiamo voluto andare a ringraziare Monseñor. E siamo stati sulla tomba. Gli ho chiesto di vegliare sulla mia famiglia. E sul Paese, dilaniato dalla violenza. Lui voleva un futuro di pace per El Salvador. Abbiamo ancora necessità del suo aiuto per costruirlo».