sabato 7 novembre 2009
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Un omaggio al Concilio e a Paolo VI, il Papa del Concilio. Questo il motivo centrale della visita di Benedetto XVI a Brescia. Il vescovo della diocesi lombarda, Luciano Monari, vicepresidente della Cei, lo ha ripetuto più volte nel cammino di preparazione all’evento di domani, che nasce dall’invito a Ratzinger nel 30° della morte di Montini (6 agosto 1978).Quale dono costituisce e quale responsabilità comporta essere la diocesi di Paolo VI?Nella sua biografia c’è un elemento dominante – risponde Monari –: l’amore delicato, profondo per la Chiesa. Montini ha consacrato la vita al servizio della Chiesa nella convinzione che fosse il modo più concreto per essere discepoli di Gesù. Brescia vive con gioia e fierezza l’aver dato alla Chiesa un pontefice che l’ha guidata nella stagione decisiva del Vaticano II. E sente la responsabilità di essere fedele alla sua visione piena, positiva della Chiesa: una Chiesa missionaria, che manifesta il mistero della presenza di Cristo nel mondo. Se penso alle congregazioni religiose nate a Brescia e attive nella missione, nell’educazione, nella sanità, se penso ai nostri fidei donum e alla ricchezza del nostro volontariato missionario, posso dire: sì, Brescia resta nel solco di Paolo VI.Quali ombre e luci, quali sofferenze e speranze recherà con sé Brescia all’incontro col Papa?Brescia custodisce una grande tradizione di impegno sia sul piano dell’economia e del lavoro, sia su quello della partecipazione politica e democratica. Una vitalità che si vede anche nella Chiesa: le famiglie religiose, certo; il nostro clero secolare – nonostante il calo di vocazioni abbiamo ancora più di 800 preti e alcune decine di fidei donum. Ci misuriamo con le difficoltà di tutte le Chiese dell’Occidente: la secolarizzazione, innanzitutto. Fin dall’800 il laicato cattolico bresciano ha saputo affrontare la sfida di dare forma evangelica al vissuto della modernità, una sfida che ora chiama a dare risposte nuove. Anche il problema spinoso delle vocazioni sacerdotali chiede risposte nuove – penso alla straordinaria rete degli oratori, tipica della realtà bresciana, che comporta una presenza notevole di preti... Di fronte alle difficoltà il Signore ci chiama a una speranza più grande e ad una radicalità più profonda.Ci sono parole e gesti che, in particolare, attendete dal Papa?Dall’incontro col vescovo di Roma, centro della comunione della Chiesa, attendiamo un approfondimento della nostra identità di Chiesa diocesana e del senso di comunità. Gli chiediamo di aiutarci a essere testimoni del Vangelo nel mondo d’oggi. Ratzinger ci insegna la necessità di vivere tutte le dimensioni della vita tenendo aperte le porte a Dio e alla trascendenza. È la sua personale testimonianza che attendiamo: la coerenza del suo itinerario di fede e di pensiero è illuminante in un mondo – come diceva Paolo VI – che accetta i maestri se sono testimoni.Alla vigilia della visita, quali sintonie fra Montini e Ratzinger vale la pena di sottolineare?Una somiglianza forte sta nella loro volontà di farsi carico del confronto fra il cristianesimo, la sua tradizione e il mondo contemporaneo. Questo fu il grande cruccio del Montini pontefice, ma anche del Montini arcivescovo di Milano – si pensi alla grande missione alla città, tentativo di far incontrare tutti i «vissuti contemporanei» con il Vangelo e i suoi testimoni. In Ratzinger vediamo il tentativo di leggere il cammino della modernità alla luce della fedeltà al Vangelo: di fronte a una cultura che si allontana dal riferimento alla verità per scegliere il primato della prassi, si rilancia la testimonianza di una fede cristiana che unisce verità e carità. Se Paolo VI ha voluto Ratzinger arcivescovo di Monaco, è perché ha visto in lui il teologo che avrebbe potuto offrire un magistero attento alle sfide culturali che la modernità pone alla Chiesa.La prima tappa della visita del Papa sarà a Botticino, davanti alle spoglie di sant’Arcangelo Tadini, prete diocesano, parroco, fondatore delle Suore Operaie. Quale è il significato ecclesiale di questo gesto?Uno dei crucci di Ratzinger è questo: il fatto che la sottolineatura del sacerdozio comune dei battezzati possa offuscare l’identità propria del ministero ordinato. Con l’omaggio a Tadini – nel corso dell’Anno Sacerdotale – il Papa ci ricorda che essere prete cattolico significa essere in una relazione sacramentale col mistero del Signore Risorto, che ti pone nella Chiesa e fra gli uomini come segno vivo della presenza di Cristo. Nasce da questa relazione d’amore con Gesù l’amore verso gli uomini che suscita risposte creative, come quelle date da Tadini al mondo del lavoro nell’età dell’industrializzazione.Ultima tappa della giornata sarà Concesio, con l’inaugurazione della nuova sede dell’Istituto Paolo VI e la visita al fonte dove Montini venne battezzato...Questi luoghi dialogano fra loro. L’Istituto Paolo VI è il luogo della memoria storica e della rigorosa ricerca scientifica, indispensabile per una piena, profonda conoscenza della figura e del pensiero di Montini, così a lungo e ancor oggi gravata da pregiudizi e letture ideologiche. La visita al fonte ci ricorda che l’amore di Dio è il fondamento di ogni vita: la nostra come quella di un grande Papa come Montini.Al centro della giornata c’è la Messa in piazza Paolo VI, nel cuore di Brescia. Che cosa significa celebrare la Messa col Papa?Significa sperimentare visibilmente quello che viviamo in ogni Messa: la comunione con il Papa, per il quale preghiamo ogni volta. Il Papa è il garante di quella comunione che unisce tutta la Chiesa e che l’Eucaristia crea e fonda. La Messa non è mai un fatto privato o di gruppo: è un evento che ci inserisce nella comunione della Chiesa universale. Avere il Papa fra noi sarà una gioia grande.Domani sull’altare papale ci sarà un simbolo eminente della storia cristiana di Brescia: l’antica Croce dell’Orifiamma. Quella Croce alla quale, talvolta, l’Europa sembra voler negare cittadinanza nello spazio pubblico. Come poter essere testimoni credibili del mistero e del messaggio della Croce nella società laica e plurale del nostro tempo?Credo che per un cristiano la Croce – o meglio: il Crocifisso – sia il riferimento essenziale per due motivi. Il primo: perché è la rivelazione più incredibile dell’amore di Dio per noi. Quell’amore vissuto nella verità – come ci ricorda l’ultima enciclica di Ratzinger, la Caritas in veritate – è il fondamento dell’autentico sviluppo umano. E qui giungiamo al secondo motivo: quel Crocifisso ci dice anche la vera identità dell’uomo. Che non è un essere compiuto, perfetto, ma un essere limitato, che soffre, che può anche far soffrire. Ma soprattutto un essere che ama. E che è capace di pagare l’amore col sacrificio di sé. Il Crocifisso ci introduce in quel dinamismo di amore che ci chiama a prenderci cura gli uni degli altri.
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