Ha studiato Teologia alla Pontificia Università Gregoriana, disciplina che ha a lungo insegnato al Seminario dell’Avana. Eppure Juan de Diós Hernández Ruiz, vescovo ausiliare della capitale e segretario della Conferenza episcopale dell’isola, non teme di annoverare fra i suoi "maestri di fede" una vecchietta incontrata nella chiesa di San Vicente, a Santiago. «Era fra le sei che partecipavano alla Messa in quella che è stata la mia prima missione, nel 1976. Ero stato appena ordinato», racconta il gesuita fra un appuntamento e l’altro: per l’arrivo di papa Francesco, la sede della Conferenza dei vescovi al Vedado è un via vai incessante. Il caos non turba monsignor Hernández Ruiz, che si ferma a salutare impiegati e collaboratori, dispensando sorrisi: trova perfino il tempo per procurare a un anziano un poster del Pontefice. «Torniamo al 1976 e a Caridad, così si chiamava la donna», prosegue. All’epoca, i cattolici erano apertamente discriminati. Pochi, dunque, sfidavano i pregiudizi per partecipare alle celebrazioni. "Caritad suonava le campane. E lo faceva con tanta forza che una volta l’ho rimproverata. Mi ha risposto: "Padre Juan, so che nessuno verrà. Però le sentono". È difficile trovare una simile sintesi di realismo e trascendenza. Questo è lo sguardo della fede: vede ciò che tutti vedono, la realtà nuda e cruda. Ma anche ciò che non si vede. Quando sono tornato a San Vicente, molti anni dopo e ho visto la chiesa piena, mi sono ricordato di Caritad». L’anziana aveva intuito che l’ateismo ufficiale imposto negli anni "sovietici" della Revolución era un "accidente" passeggero della storia, perché incompatibile con l’antropologia cubana, impregnata di religiosità, non sempre cristiana. Lo dimostra l’entusiasmo autenticamente popolare con cui l’isola accoglie Francesco.
Che cosa rappresenta, dunque, per la gente dell’isola questo viaggio?Il Papa arriva in una congiuntura storica cruciale. L’isola ha intrapreso un cammino insperato: la normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti. Grazie alla mediazione di Francesco. Non è un caso che entrambi i presidenti - Raúl Castro e Barack Obama - l’abbiano ringraziato. Resta ancora molta strada da fare, il primo passo, però, è stato compiuto. E questo ha un valore inestimabile per il popolo cubano: quasi tutti hanno un parente, un vicino, un amico dall’altra parte del Mar della Florida. Il dialogo significa innanzitutto la possibilità di "riparare" i ponti spezzati. Un messaggio che il Papa ha voluto richiamare nella stessa organizzazione del viaggio: Francesco toccherà entrambi i Paesi. Cuba e Stati Uniti sono le due parti di un unico pellegrinaggio, non mondi separati.
Cuba, rispetto ad altre nazioni latinoamericane, ha un numero di cattolici più basso. Eppure i messaggi di benvenuto al Papa sono affissi fuori da ogni casa…Ci sono meno cattolici rispetto al Messico e al Brasile. Il popolo cubano, però, è profondamente credente. Negli anni dell’ateismo di Stato, tale componente è stata occultata, non rimossa. E, lentamente, è riaffiorata. Ha contribuito a infrangere il "tabù" religioso il libro-intervista di Frei Betto a Fidel Castro, "Fidel e la religione". Il testo ha venduto centinaia di migliaia di copie nell’isola, a dimostrazione di quanto il tema fosse sentito. Da allora, sono ritornate nelle sale da pranzo le immagini del Sacro Cuore e della Vergine del Cobre. E per le strade hanno ripreso ad echeggiare espressioni tipiche come «Se Dio vuole» o «Grazie a Dio». I viaggi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno, poi, inaugurato un nuovo corso. La sfida ora per la Chiesa cubana è riuscire a rispondere alle attese di questo popolo avido di Dio. Non solo inventando nuovi modi per supplire alla carenza di agenti pastorali e templi. Vogliamo riuscire a creare comunità autenticamente cristiane, il che trascende l’aspetto meramente sacramentale. In questo senso, la visita di papa Francesco ci sarà di grande sostegno. Il "missionario della misericordia" viene a costruire ponti, all’interno e all’esterno dell’isola.
Come definirebbe la Chiesa cubana in questa fase storica?La Chiesa cubana è vissuta per decenni e continua a vivere "del poco, del piccolo e dell’anonimo", come mi piace dire. Il popolo "invisibile" è la nostra linfa vitale. È grazie alle Caritad se andiamo avanti…