C’è un filo fatto di tecnologia, misericordia e futuro che lega i professionisti italiani ai detenuti di alcune carceri sparse sul territorio. Nell’arco di due anni, infatti, almeno 200 carcerati degli istituti di Bollate e Opera (Milano), La Spezia, Rebibbia (Roma), Palermo, Bologna, Castrovillari (Cosenza), Cagliari, e di quelli minorili di Firenze e Nisida (Napoli) potranno frequentare corsi di formazione di base sulla Rete e avere così una chance in più una volta tornati in libertà.
Tutto questo accade grazie a un progetto, presentato a papa Francesco durante l’ultima udienza giubilare in piazza san Pietro, promosso da Confprofessioni, un’organizzazione che riunisce 19 sigle in rappresentanza di un milione e mezzo di liberi professionisti, che insieme alla multinazionale dell’informatica Cisco, Vo- dafone, fondazione Vodafone e Cooperativa Universo ha firmato un protocollo d’intesa con il ministero della Giustizia. «Come professionisti ci sentiamo chiamati a contribuire alla crescita del Paese, guardando alla società civile e anche ai soggetti più deboli», spiega il presidente dell’associazione Gaetano Stella. Ecco perché, aggiunge, in occasione del 50° anniversario della fondazione e dell’Anno Santo della misericordia, «abbiamo deciso di ampliare un’iniziativa molto positiva già avviata da Cisco a Bollate che ha permesso negli anni di formare 500 detenuti che una volta usciti non hanno avuto recidive».
L’obiettivo, rileva il presidente di Confprofessioni Lombardia, Giuseppe Calafiori, «è mettere a sistema l’esperienza della Cisco Networking Academy in carcere e dare così ai detenuti l’opportunità di acquisire competenze nell’ambito delle tecnologie digitali, utili per il reinserimento sociale e nel mercato del lavoro». Grazie allo sforzo congiunto di tutti i partner coinvolti, 145 computer saranno distribuiti negli istituti penitenziari e collocati nelle aule informatiche dove una volta alla settimana si svolgeranno le lezioni, ma resteranno aperte tutti i giorni per permettere agli “studenti” di esercitarsi e mettere a frutto le conoscenze teoriche. «Sono numerose le storie di coloro che, oltre ad aver pagato il loro conto con la giustizia, hanno ottenuto la certificazione Cisco, riconosciuta a livello internazionale. Come Gigi, che oggi è un tecnico informatico di successo», racconta Calafiori evidenziando il valore di un’iniziativa «che aiuta i detenuti a mettersi in gioco e a costruirsi un futuro».
Questo, continua, «fa bene a loro, ma anche all’intera collettività». Convinti di avere un ruolo da protagonisti nella società, i professionisti che nel nostro Paese investono e danno lavoro (dai commercialisti agli avvocati e ai notai, dagli ingegneri ai medici e agli psicologi, solo per citarne alcuni), volevano che il Giubileo non si esaurisse nella celebrazione di un evento, ma «lasciasse un segno concreto e fosse dunque l’inizio – conclude Calafiori – di un percorso di bene che potesse continuare anche dopo la fine del Giubileo». Dando un corpo e un’anima al principio dell’inclusione.