giovedì 19 marzo 2009
La posizione del Papa sull’Aids? Realista, ragionevole e scientificamente fondata. Lo sostiene Filippo Ciantia, un medico responsabile dell’ong italiana Avsi che dal 1980 vive e lavora in Uganda, uno dei paesi africani più colpiti dal virus.
COMMENTA E CONDIVIDI
La posizione del Papa sull’Aids? Realista, ragionevole e scien­tificamente fondata. Parola di un medico che da anni si misura col problema in uno dei Paesi africani dove il virus ha colpito più dura­mente, l’Uganda, e dove le strategie di contrasto hanno portato a risul­tati molto significativi, fino a farne un modello. Filippo Ciantia ci vive dal 1980 con la moglie e otto figli. È il rappresentante regionale dell’ong italiana Avsi per la Regione dei Grandi laghi ed è autore di nume­rosi interventi su riviste scientifiche. In uno di questi, pubblicato su Lan­cet, ha messo in evidenza l’efficacia della dottrina cattolica nell’affron­to dell’Aids. In che senso Benedetto XVI esprime una posizione realista? La strategia vincente di fronte al vi­rus non può essere meramente sa­nitaria e farmacologica. Si vince te­nendo conto di tutti i fattori che co­stituiscono la persona. I dati dimo­strano che l’Aids è diminuito solo nei Paesi in cui si è lavorato per mo­dificare i comportamenti sessuali e gli stili di vita delle persone, cosa che a sua volta deriva da un lavoro di informazione e educazione che coinvolge le famiglie, le donne, le scuole. È accaduto così in Kenya, E­tiopia, Malawi, Zambia, Zimbabwe e soprattutto qui in Uganda. Ma per ottenere risultati bisogna avere il co­raggio di scelte forti, come hanno fatto da queste parti... Quali scelte? Il cuore del problema sta nella mo­dificazione dei comportamenti, per esempio i rapporti sessuali a rischio contemporanei con più partner, che in Africa sono molto diffusi. C’è u­na notevole ritrosia a intervenire su questo terreno perché si dice che in nome della libertà non è lecito in­tromettersi nelle scelte della gente. Ma questa è una posizione ipocri­ta. Come la mettiamo allora con le campagne contro il fumo, l’alcol, la droga che si vanno moltiplicando? Anche questa è invasione di campo? Se un comportamento mette a ri­schio la salute, astenersi dall’inter­venire per cercare di modificarlo si­gnifica in realtà danneggiare le per­sone che lo mettono in atto e l’inte­ra società. Quindi la Chiesa non fa invasione di campo parlando di astinenza e fedeltà al partner? La Chiesa fa il suo mestiere e, fa­cendolo, contribuisce al bene di tut­ti. Non c’è un posto al mondo dove l’Aids sia diminuito senza un cambia­mento radicale dei comportamenti ses­suali. Ma per arrivare a questo si deve lavo­rare a livello educati­vo, non ci si può cer­to accontentare di di­stribuire preservativi, confidando nel loro effetto taumaturgico e deresponsabiliz­zando la gente. Lo ha capito bene il governo ugandese che ha laicamente lanciato con succes­so la strategia dell’ABC. In cosa consiste l’ABC? Alle persone viene consigliata l’a­stensione dai rapporti (Abstinence), la fedeltà al partner (Being faithful) e – in casi molto particolari e solo per certe, limitate categorie di per­sone – l’uso corretto del profilattico (Condom use). Risultato? La preva­lenza dell’Hiv è passata dal 15% del 1992 al 5% del 2004. E sa qual è sta­to il costo dei programmi avviati per favorire la modifica degli stili di vi­ta? 23 centesimi di dollaro a testa. Ha ragione il Papa: siamo di fronte a una tragedia che non può essere vinta solo con i soldi. Serve una stra­tegia multilaterale che metta al cen­tro il bene della persona. Cosa vuol dire con­cretamente? Promozione della condizione femmini­le, sostegno a chi è colpito dal virus con i farmaci (la gratuità è un elemento fonda­mentale e rischia di venire colpito dagli ef­fetti della crisi econo­mica), lotta allo stig­ma e alla discrimina­zione nei confronti dei malati, campagne di educazio­ne preventiva nelle scuole primarie raggiungendo i bambini prima che diventino sessualmente attivi. E per raggiungere questi obiettivi, non si può prescindere dal fattore comu­nitario. Perché è fondamentale questo ele­mento? In una società come quella africana è necessario coinvolgere i leader re­ligiosi e le comunità locali. In U­ganda molte organizzazioni si sono prese cura degli orfani (che sono due milioni e mezzo), hanno aiuta­to le famiglie colpite, si sono prodi­gate nell’attività educativa e so­prattutto hanno fatto compagnia ai malati. Come fanno quelli del Mee­ting Point, il partner locale di Avsi, che da anni aiutano migliaia di don­ne a Kampala e in altre città. Cosa fanno? Promuovono corsi di igiene e salu­te, prestiti per piccole attività lavo­rative, distribuiscono cibo. Molte donne sono state aiutate a capire che la loro esistenza è più grande della malattia, hanno cominciato il trattamento antiretrovirale che pri­ma rifiutavano perché si sentivano finite, si aiutano a vicenda a pren­dere le medicine. Se una di loro muore, i figli vengono presi in casa da un’altra. Si sentono amate da qualcuno che le considera impor­tanti. È un piccolo miracolo quoti­diano, un’esperienza d’amore più contagiosa del virus. Filippo Ciantia
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: