«Ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar » . Beh, non è detto che la battuta di Adriano Celentano nella celebre Azzurro sia poi vera, oggi: i preti, in Italia, esistono ( e resistono) ancora, non come nell’iper- secolarizzata Olanda dove, di recente, un vescovo ha affermato che… ci sono troppi sacerdoti per l’esiguo numero di fedeli. Parroci, impegnati tra i poveri, cappellani di movimenti e gruppi, professori di religione nelle scuole, giovani « coadiutori » imbrigliati in mille attività con ragazzi e adolescenti: il Belpaese pullula ancora di preti, uno ogni 1800 abitanti. Ma chi sono questi «presbiteri» , parola di etimologia greca ( « i più anziani » ) tornata di moda dopo il Vaticano II, da cui l’abbreviativo solito? Come vivono? Cosa fanno? Indaga col piglio della giornalista Laura Badaracchi ( collaboratrice di Avvenire) nel volume Fare il prete non è un mestiere ( Edizioni dell’asino, pp. 264, euro 12), in uscita oggi. Una miniera di notizie sul mondo clergy e un panorama sull’ambiente presbiterale nostrano, perimetrando il campo di interesse al solo clero secolare. Che oggi ammonta a 33 mila unità, mentre all’inizio del Novecento si raggiungeva quota 68.848: l’età media è 60 anni, uno su 8 ha più di 80 primavere; la maggior parte si trova al Nord Italia ( 17.886), una porzione minore al Centro ( 6172) e una mediana al Sud ( 9637). Ma come vive oggi un prete? Prendiamo il modello parrocchiale, ancora largamente diffuso nello Stivale: 25.807 le parrocchie oggi esistenti, dove il parroco è il perno su cui ruota la vita della comunità. L’esempio di don Fabio Pieroni, 52 anni, prete da 21, parroco di San Bernardo di Chiaravalle, periferia est della Capitale. Che parte da problemi concreti per delineare attuale del pastore d’anime: «Una volta a papa Giovanni Paolo II fu domandato pubblicamente un consiglio per facilitare la comunione tra i preti. Rispose: Mangiate insieme! » . Il rapporto tra la formazione in seminario e la vita concreta? « Noi preti di parrocchia siamo davvero in prima linea e leggiamo sui libri dei grandi teologi o psicologi o sociologi quello che almeno un anno prima avevamo già fronteggiato, navigando spesso solo a vista». Sempre in ambiente romano, l’autrice riporta la scansione quotidiana della parrocchia di San Frumenzio ai Prati fiscali, dove la « bottega » apre alle 7,45 per le Lodi comunitarie, seguite da un’ora di preghiera silenziosa: «Un tempo da difendere, rimandando a dopo la messa colloqui o confessioni » . Alle 9 il parroco, il quarantaduenne don Gianpiero Palmieri, celebra l’eucaristia. « E poi inizia il delirio » , la sua scherzosa ammissione. Durante la giornata scattano gli incontri personali: « Cerco di fissare sempre un appuntamento per i colloqui ( 5- 8, tutti i giorni), accogliendo chi viene a chiedere aiuto per leggere alla luce della fede la propria storia. A volte incontro persone psichicamente molto fragili, qualche volta chi ha difficoltà economiche; poi ci sono universitari, anziani e pensionati, disoccupati e giovani». A scandire la giornata c’è la lettura del breviario, un obbligo per ogni prete. E alla sera ecco gli incontri di formazione per adulti, coppie, giovani, catechiste… L’inchiesta della Badaracchi evidenzia che il modello « monacale » dell’anziano parroco solitario – molto diffuso – non è più auspicato dalle nuove leve. « Da parte dei più giovani si nota un appello alla vita comune: un seminarista su tre "da prete vorrebbe vivere in una comunità sacerdotale"» , ovvero un gruppo di presbiteri che abita insieme. La solitudine è questione quotidiana per il «don» : il 38% vive solo, uno su quattro pranza solitario, il 37% fa lo stesso a cena. Racconta l’autrice, riferendosi a San Frumenzio: «Accanto al parroco ci sono altri sacerdoti con i quali vivere un’esperienza comunitaria a tutto tondo: il venerdì è la giornata dedicata a loro, al presbiterio». Don Palmieri narra del pranzo alle 13, l’Ora media recitata insieme, un momento serale di preghiera e condivisione comunitaria. Vi è poi, sempre più diffuso, quello che nei Paesi anglosassoni è chiamato il day- off, una giornata ( a volte settimanale) di distacco dalle attività ordinarie. Capitolo stipendio: forse il ministro Brunetta non sarà contento, ma nella Chiesa si applica la parabola del servo dell’ultima ora. Per 12 mensilità ( non è prevista la tredicesima) un prete appena ordinato riceve 853 euro, un vescovo a scadenza di mandato ( 75 anni) 1300 euro: un parroco con 500 anime piglia lo stesso salario di uno con 10 mila fedeli. Sono poi contenti i « don » di essere tali? Badaracchi risponde citando casi di preti noti, come don Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana: «Di solito bevo il caffè amaro. Qualcuno mi domanda: Come mai? Quasi sempre rispondo che è già molto dolce la mia vita. Ed è vero» . Il prete bergamasco – già cappellano nelle carceri – snocciola così il suo esser prete: « Una vocazione che sa di impasto di terra, cortile, fatica, eventi di forte sofferenza; volti di poveri ' belli' e provocanti, amore e gratuità; chiesa, campanile e scuola come ' luoghi' della comunità e della socialità; cammini di vita realizzati ' in cordata' e non da solo; studio bramato ma schiacciato e sofferto dentro tempi ristretti; testimonianze di vita, di sacerdoti e laici, forti e ordinarie; e tanta grazia di Dio » . Il teologo don Piero Coda, rettore della neonata università ( di ispirazione focolarina) Sophia, guarda con rimpianto ai suoi anni in parrocchia: « Ho avuto la gioia di essere vice- parroco per una decina d’anni. È stato bellissimo. Ho imparato tanto: a essere fratello, padre, amico. Ho imparato tanto dai giovani ( quanti campi scuola estivi entusiasmanti!), dalle famiglie, dalla comunità cristiana nel quartiere che mi era affidato. È stato un cammino che ha inciso profondamente sulla mia vita». Per don Vinicio Albanesi, presidente delle Comunità di accoglienza, essere «don» ha qualcosa a che fare con l’incarnazione di Cristo: è «a vocazione di coniugare preghiera e opere, di tradurre concretamente la misericordia del Dio in amore» . Con preti così, vien proprio voglia di «chiacchierar».