giovedì 12 febbraio 2009
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«Chiesa nel Sud, Chiese del Sud. Nel futuro da credenti responsabili» è il titolo del convegno delle diocesi delle cinque regioni meridionali – Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia – a vent’anni dal documento della Cei «Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà», che si è aperto oggi, 12 febbraio, presso il Tiberio Palace Hotel di Napoli. La sfida: riaprire la «questione meridionale» che il Paese sembra aver rimosso o sottovalutato, rinnovando un pensiero e una presenza capaci di restituire – alla luce del Vangelo – speranza alle genti del Sud. È il Sud dei valori autentici quello che si è dato appunta­mento da oggi a Napoli per il Convegno Chiesa nel Sud, Chiese del Sud. Un Meridione che vuole recuperare il proprio protagonismo non solo nella sua terra e nelle sue città, ma anche nell’orizzonte na­zionale ed europeo. A sottolinearlo sono i presidenti delle cinque Con­ferenze episcopali regionali riunite oggi, nella città partenopea, «in a­scolto della voce dello Spirito». Superbo: ascolto e accoglienza. Come evidenzia l’arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo Agostino Superbo, presi­dente dei vescovi della Basilicata: «Non si tratta solo di un evento ce­lebrativo, in onore dei vent’anni dal documento Cei Chiesa italiana e Mezzogiorno ma di un momento nel quale le Chiese del Sud si met­tono in ascolto della voce dello Spi­rito Santo». Lo stile, insomma, è lo stesso che portò al documento sul Meridione del 1948 e a quello del 1989, che lanciò il più importante degli appelli: «Il Paese, ma anche la Chiesa – sottolinea Superbo – non crescerà se non insieme». «Certo – prosegue il vicepresidente Cei – dal ’48 all’89 e poi negli ultimi vent’an­ni i problemi sono cambiati, sep­pur con diverse costanti. Dall’ulti­mo documento Cei permane, ad e­sempio, il più grave dei problemi nel Sud: la disoccupazione. E poi il ritardo nello sviluppo, una rete ra­dicata di piccolo e grande clienteli­smo, la mancanza di una forza pro­pulsiva interna, la dipendenza dalla criminalità, la mafia e la mafiosità dei comportamenti. In questo il ruolo della Chiesa è formare le co­scienze attraverso una nuo­va evangelizzazione. Da qui verrà una nuova etica pub­blica ». E poi, compito nuo­vo per le comunità del Sud, «è necessario trovare le vie per un’accoglienza autenti­ca, di cui la Chiesa del Mez­zogiorno deve dare esem­pio. Oggi infatti le nostre terre si presentano alla na­zione e all’Europa con il Sud del mondo dentro ca­sa. Siamo portatori delle speranze e delle angosce dei tanti Sud che oggi vivono tra noi». È inu­tile «cercare i colpevoli della situa­zione attuale; è necessario ripartire dai valori del Sud, come un’etica del lavoro all’insegna del sacrificio, l’amore per la vita, la stabilità delle famiglie, la forte fede popolare, la solidarietà». Romeo: impulso oltre la crisi. Per Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo e presidente dei vescovi della Sicilia, il convegno darà l’op­portunità di «rivisitare il documen­to del 1989 alla luce della crisi o­dierna che ha conseguenze invisi­bili soprattutto tra le fasce più fragi­li ». Si tratta di «costituire una fonte alla quale vengono consegnate la valutazione, l’analisi le preoccupa­zioni emerse dal confronto tra voci esperte. Una fonte da offrire all’in­tera Chiesa italiana che così potrà, tutta insieme, rimettersi in ascolto del Sud». Da Napoli, sottolinea Ro­meo, non uscirà «una ricetta pron­ta », ma l’invito forte a riconsiderare la questione meridionale come questione nazionale. E un contri­buto forte può venire dalla Sicilia stessa: «Nonostante qui sperimen­tiamo quella che io chiamo 'ane­mia sociale', non è ancora così ra­dicata la crisi della famiglia, la reli­giosità popolare, anche se tutta da evangelizzare, è molto forte e le vo­cazioni 'tengono'. Le nostre comu­nità non conoscono l’anticlericali­smo che altre regioni sperimentano e ciò contribuisce a creare un senso più saldo di appartenenza alla Chiesa. Sono queste le basi da cui bisogna ripartire – conclude Ro­meo –. Ci aspettiamo da Napoli un nuovo impulso in questo senso». Sepe: diamo voce ai senza voce. La prima sfida, aveva affermato nei giorni scorsi in un’intervista ad Av­venire il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e presidente dei vescovi della Campania, sarà quella di «spazzare via il cupo pes­simismo che imprigiona i cuori de­gli uomini, quel disfattismo di chi vede nel Sud Italia solo un proble­ma, un peso, qualcosa da cui tener­si alla larga. È questo senso di scon­fitta – aggiunge il porporato – che la Chiesa deve avere sempre la forza di combattere. Noi soffriamo insie­me ai nostri figli, molti dei quali so­no costretti ad andare via, a emi­grare pur di potersi affermare so­cialmente e professionalmente». A Napoli, concludeva Sepe, «voglia­mo dire ai nostri fratelli che siamo con loro, in mezzo a loro. Saremo voce di chi non ha voce, ricostruire­mo insieme agli uomini di buona volontà il tessuto profondo delle nostre radici, recupereremo la di­gnità di appartenenza come citta­dini e credenti in Cristo Salvatore». Mondello: basta imitare il Nord. Oggi, aggiunge da parte sua l’arci­vescovo di Reggio Calabria-Bova, Vittorio Luigi Mondello, presidente della Conferenza episcopale cala­bra, «si continua a parlare della questione meridionale ma molti non sono convinti che essa esita davvero. Di fatto è un problema che si è sempre posto e non si è mai risolto. Ma la soluzione non sta certo in quello che si è tentato di fa­re finora: imitare il Nord. È una via che lascia il Sud sempre più povero e non valorizza le sue ricchezze». Ricchezze di cui anche la Calabria non manca: «A Napoli la nostra re­gione non porterà solo l’esperienza di una società segnata dalla malavi­ta, ma anche l’esempio di numero­se realtà positive e piene di speran­za. Realtà che la Chiesa locale ha promosso e continua a promuove­re. Come ad esempio l’impegno per i giovani o per il rinnovamento del­le parrocchie». Ed è proprio questo il ruolo della Chiesa, sottolinea Mondello: «Aiutare la gente a non lamentarsi ma a rimboccarsi le ma­niche. È vero che il Sud soffre di u­na 'carenza dello Stato' ma c’è an­che la carenza di noi meridionali che dovremmo impegnarci in ma­niera più decisa per essere autono­mi. Un buon esempio in questo senso viene dal Progetto Policoro». Cacucci: vitalità di clero e laici. Incalza l’arcivescovo di Bari-Biton­to, Francesco Cacucci, presidente della Conferenza episcopale pu­gliese: oggi «la modernizzazione e­steriore che ha riguardato la nostra società meridionale nei consumi e negli stili di vita non corrisponde in realtà a un effettivo sviluppo, finen­do invece per accentuare il divario tra aspirazioni al miglioramento della condizione sociale e la possi­bilità concreta, soprattutto per la parte più indigente e più esposta culturalmente, di soddisfare quelle aspirazioni». In questi anni, ag­giunge il presule «le Chiese del Sud sono cambiate e hanno intensifica­to la formazione del clero e dei laici suscitando una maggiore respon­sabilità dei cattolici verso lo svilup­po del tessuto sociale nel quale vi­vono. La comunità ecclesiale vuol essere anche oggi come già in pas­sato una particolare forma di ag­gregazione solidaristica presente capillarmente nella storia del Mez­zogiorno ». In Puglia, nota Cacucci, «la vivacità ecclesiale trova partico­lare riferimento nello sviluppo del­le vocazioni e nell’incremento dei seminaristi nel Seminario regionale di Molfetta, ma anche nell’istituzio­ne della Facoltà teologica pugliese sorta nel 2005. Da non sottovaluta­re, infine, è la vocazione ecumenica di tutte le Chiese di Puglia soprat­tutto in riferimento all’Oriente or­todosso ». È un Sud dalle mille ric­chezza, insomma, quello che da oggi si incontra a Napoli. Un momento della tradizionale processione per la festa di Sant’Agata patrona di Catania
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