venerdì 20 febbraio 2009
Quattro anni fa la morte del fondatore di Comunione e liberazione. Un testimone della fede che ha generato molti figli. E che oggi «rivive» in settanta Paesi
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Il 22 febbraio di quattro anni fa moriva a Milano don Giussani. Ma più che di un morto, qui si vuol parlare di uno che continua a vivere. Non solo perché il suo pensiero, i libri che ha scritto e le opere che sono nate dalla sua testimonianza stanno conoscendo una grande diffusione in tutto il mondo, ma anche e soprattutto perché il suo carisma continua a fiorire, generando a una nuova esistenza migliaia di persone. Molte di queste – e col passare del tempo sono sempre di più – non l’hanno neppure conosciuto di persona: hanno sentito parlare di lui, hanno letto qualche suo scritto, hanno incontrato i suoi amici, sono rimaste affascinate dall’esperienza di Comunione e liberazione che da lui è nata. Il tutto è avvenuto secondo quella elementare dinamica del testimone che è all’origine del cristianesimo, e che ha portato il carisma del "Gius" in settanta Paesi in tutti i continenti. Facendolo stimare non solo tra i cattolici, ma anche tra i fratelli ortodossi e protestanti, nel mondo ebraico, in quello buddista e tra alcuni esponenti musulmani. Gabriela: «Gesù, passione della mia vita» «Mi piacevano le discussioni religiose, riuscivo sempre a litigare: pur reputandomi cattolica, ero un anti-Cristo. Ma quando ho conosciuto quelli di Cl qui a San Paolo le cose sono cambiate: loro non mi hanno proposto un’idea di Gesù, mi hanno mostrato ogni giorno la sua presenza e io mi sono appassionata a Lui fino al punto di scoprirlo ogni giorno nel volto delle persone che incontro. E adesso Lui è diventato la vera passione della mia vita». Così si è raccontata Gabriela davanti a dodicimila persone che gremivano il palazzetto dello sport di Ibirapuera a San Paolo del Brasile, in occasione dell’incontro con don Julián Carrón, il sacerdote spagnolo che dopo la morte di don Giussani guida il movimento e che nei giorni scorsi ha incontrato le comunità del Sudamerica. «Il rischio educativo» in Cambogia Dalla Cambogia parla Alberto Caccaro, missionario del Pime che da otto anni vive in Cambogia e racconta la sua esperienza sul sito www.tracce.it. «All’inizio del mio ministero accompagnavo i malati dal villaggio in cui operavo a Phnom Penh e durante le mie soste nella capitale, nella casa del Pime, leggevo spesso la rivista Tracce che un mio confratello lasciava a disposizione. La trovavo affascinante e molto utile in un momento in cui avevo una missione da inventare e tanti interrogativi a cui rispondere. Nel 2006 chiesi a un amico in Italia di spedirmi una copia de "Il rischio educativo" di don Giussani, un testo che veniva spesso citato nella rivista. Lo lessi d’un fiato, trovando una corrispondenza immediata con le attese del mio cuore. La parola "mistero", che attraversa tutto il testo, non ha un equivalente in cambogiano, è sostanzialmente intraducibile. Abbandonai perciò l’idea di una traduzione del testo nella lingua locale e decisi di costruire un’opera educativa che veicolasse i contenuti e il metodo che venivano descritti nel libro. Ne è nata una piccola scuola superiore, che è una spina nel fianco per chi fa dell’educazione uno strumento di consolidamento dello status quo. "La vera educazione dev’essere un’educazione alla critica", scrive Giussani. Non c’è nulla di più impensabile qui in Cambogia, dove vige tolleranza zero per qualsiasi opinione diversa da quella governativa». Il parroco ortodosso e la missione Ioann Privalov è un sacerdote ortodosso, parroco in un villaggio vicino ad Archangel’sk, uno dei principali porti della Russia affacciato sul Mar Bianco, a ventiquattr’ore di treno da Mosca. Appartiene alla fraternità ortodossa San Filaret e qualche anno fa, insieme ad altri amici, si era messo a studiare le diverse esperienze comunitarie e i movimenti cattolici. E così ha 'incontrato' Giussani: leggendo i suoi libri pubblicati in russo, ha scoperto la densità di parole come 'missione' ed 'esperienza', e ha scoperto un padre: «Qualche tempo fa ho fatto una predica sulla missione, elencando varie personalità ortodosse che mi hanno guidato nel cammino, poi ho detto ai parrocchiani: Scusatemi, ma tra questi miei padri nella fede adesso devo citare anche un sacerdote cattolico, don Giussani. Lui mi ha testimoniato proprio questo: salendo i tre gradini di un liceo milanese dove insegnava negli anni Cinquanta, aveva la consapevolezza di portare l’Avvenimento di Cristo nel mondo». Gli amici dell’ebreo Jonathan Il pensiero e l’opera di Giussani hanno colpito anche persone che vivono l’esperienza religiosa ebraica, come testimonia da Gerusalemme Jonathan Sierra, un ebreo di origine italiana che dal 1979 vive in Israele ed è responsabile della Compagnia delle opere locale, una realtà nata nel 2004 dall’incontro tra cristiani ed ebrei, arabi e israeliani. «Non ho conosciuto di persona Giussani, ma ho conosciuto i suoi amici che mi parlavano di lui, a cui lui ha dato tanto e ai quali oggi voglio bene. Parlare del carisma, di qualcuno che non hai personalmente incontrato, è un po’ come parlare della luce della luna. La vedi, evidente e chiara, ma sai che è una luce riflessa. Ma spesso è così intensa da mostrarti il panorama attorno. Così forte da riuscire a farti leggere quella mappa, che è complicata, ma in cui è indicato il percorso da seguire».
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