La rete buona della misericordia si è stesa ieri su Genova. Dal centro alle periferie, dal porto antico, cuore della città, risalendo su per i carruggi, fino ai nuovi quartieri sorti sui fianchi delle colline che digradano verso il mare. Misericordia celebrata, la Messa al mattino nella Cattedrale di San Lorenzo, presieduta dal vescovo emerito di Tortona, Martino Canessa. Misericordia realizzata, la visita alle 46 opere disseminate in tutta la diocesi, con i delegati del Congresso eucaristico nazionale che si sono divisi in altrettante delegazioni raggiungendo ogni angolo del territorio. E infine misericordia invocata, le quattro liturgie penitenziali nelle Basiliche dell’Annunziata, di Santa Maria Assunta in Carignano, dell’Immacolata e di Santa Zita, quasi a chiudere il cerchio di un perdono chiesto, ricevuto e offerto agli altri, non solo all’interno della Chiesa.Questo venerdì della misericordia, all’interno del programma del Congresso eucaristico, si è rivelato in effetti il giorno più aperto alla dimensione sociale. Seguendo la rete buona che attraverso le 46 opere entra da sempre nei gangli vitali della società genovese, l’Eucaristia - per il tramite dei suoi "messaggeri", cioè gli 890 delegati diocesani, di cui 8 cardinali, 69 vescovi e 250 sacerdoti in rappresentanza di 150 diocesi - è entrata nei luoghi del lavoro, della sofferenza, della trasmissione del sapere, della mano tesa a chi aveva perso tutto e viene aiutato a rialzarsi. Ospedali, scuole, case di accoglienza per minori, anziani, profughi, tossicodipendenti, mense, persino il cimitero (una delle opere di misericordia è la preghiera per i defunti): nessun luogo in cui la misericordia si fa concretezza di vita è stato tralasciato ieri. E la rete che di solito agisce nel quotidiano, senza clamori («la carità non ha muscoli da esibire», aveva detto giovedì sera il cardinale Bagnasco) è venuta improvvisamente a galla. Non per orgoglio, ma come testimonianza. Una testimonianza di amore e di comunione offerta a Genova, alla Liguria, all’Italia intera.Il quadruplice momento penitenziale del pomeriggio è stato l’altro polmone della giornata. Semplici nel loro svolgimento (parte comunitaria prima, traccia per l’esame di coscienza, e infine confessioni individuali), le celebrazioni hanno visto la partecipazione di un gran numero di fedeli. «Il comandamento nuovo di Gesù – ha detto il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, che ha guidato la liturgia a Santa Maria Assunta – deve dare origine a uno stile di vita totalmente nuovo». Ad esempio «mettere da parte le troppe prudenze che magari ci fanno celebrare l’Eucaristia e tenere chiusa la porta delle nostre case e perfino, talvolta, delle nostre chiese a coloro che vengono a bussare per un motivo o un altro». L’amore, ha concluso il vescovo, «si nutre di concretezza, non di belle parole o di cerimonie senza futuro e senza impegno».Molto partecipate anche le altre celebrazioni. «Il perdono è una "ri-creazione" – ha sottolineato il vescovo di Albenga-Imperia, Guglielmo Borghetti, nella Basilica di Santa Zita –. E i perdonati "ri-creati" sono chiamati a "ri-creare" a loro volta. Sono in altri termini attivatori di novità». Ecco dunque le opere di carità e di misericordia e il rapporto profondo tra le due parti della giornata. «Se abbiamo ricevuto il perdono del Signore – ha ricordato il vescovo di Savona-Noli, Vittorio Lupi, nella Basilica di Santa Maria Immacolata – non possiamo non essere a nostra volta misericordiosi. Dio anche dai peccatori è capace di trarre dei santi». Lupi ha citato la Maddalena, San Paolo, l’adultera. Tutte figure che traducono quella che il vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato, Luigi Palletti, ha chiamato nella Basilica dell’Annunziata «la sovrabbondanza della misericordia di Dio». «La vita cristiana – ha aggiunto – è una costante conversione, non solo intellettuale, ma del cuore. E a chi riceve il perdono Gesù dice: "Va’ e fa’ anche tu lo stesso"». Ciò che in sostanza aiuta ad allargare sempre più la rete buona della misericordia e a stenderla sull’intera società.