mercoledì 12 marzo 2014
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Più la memoria ritorna a quei momenti del 13 marzo 2013, più ci si accorge che le prime parole pronunciate da papa Francesco dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro contengono una sorta di programma pastorale. Al di là dell’ormai celeberrimo «buonasera», anticipazione del suo stile capace di creare sintonia a prima vista, colpisce l’accento posto sul «vescovo di Roma». «Voi sapete – disse quella sera – che il dovere del Conclave è di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo. Ma siamo qui». «Vescovo di Roma» è dunque il titolo con il quale papa Bergoglio ha tenuto subito a presentarsi alla città e al mondo, fin dal giorno dell’elezione. E l’ha fatto, come avrebbe spiegato qualche tempo il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, «per un motivo teologico, perché il Papa è tale in quanto è vescovo di Roma. La fonte del suo essere Papa per il mondo intero sta proprio nell’essere stato eletto vescovo di Roma».La teologia, però, per Francesco va di pari passo con la pastorale. E infatti, subito dopo egli aggiunse: «E adesso incominciamo questo cammino, vescovo e popolo, questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità a tutte le chiese. Un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza».I 12 mesi trascorsi da allora hanno mostrato in che modo Jorge Mario Bergoglio abbia camminato insieme con la sua comunità diocesana. Il giorno dopo l’elezione, come primo atto da vescovo di Roma, si recò a pregare davanti all’icona della Salus Populi Romani, custodita nella Basilica di Santa Maria Maggiore. E anche così cominciava a dare attuazione al "programma" enunciato la sera precedente, quando aveva sottolineato l’importanza della preghiera, (una richiesta, quel «pregate per me», che sarebbe diventata abituale nei giorni e nei mesi successivi). Quindi il 17 marzo, quattro giorni dopo l’elezione, andò a visitare la sua prima parrocchia (come raccontiamo in questa stessa pagina). Il 7 aprile prese possesso della Basilica di San Giovanni in Laterano, la sua Cattedrale. Quindi il 17 giugno aprì il tradizionale convegno della diocesi, con un discorso di grande respiro missionario. «Nel Vangelo – disse – è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro! In questa cultura - diciamoci la verità - ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza! E noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99?».Il Papa ha mostrato questo zelo visitando cinque parrocchie di Roma (Santi Elisabetta e Zaccaria il 26 maggio; San Cirillo Alessandrino il 1° dicembre; Sant’Alfonso Maria dei Liguori dove era stato allestito un presepe vivente il 6 gennaio; il Sacro Cuore a Castro Pretorio il 19 gennaio e San Tommaso Apostolo il 16 febbraio), alcune delle quali nelle periferie esistenziali e geografiche della città. Ha dato la prima comunione ai bambini, ha confessato i fedeli, ha visitato gli ammalati (al Bambino Gesù prima di Natale), i rifugiati (al Centro Astalli), i carcerati (a Casal del Marmo) e per due volte ha incontrato i sacerdoti romani (il 17 settembre e il 6 marzo). In definitiva ha dimostrato con i fatti che quello rivolto durante il Te Deum di fine anno («La Roma dell’anno nuovo sarà migliore se non ci saranno persone che la guardano "da lontano", in cartolina, che guardano la sua vita solo "dal balcone", senza coinvolgersi in tanti problemi umani, problemi di uomini e donne che sono nostri fratelli») è un invito applicato soprattutto a se stesso e alla sua missione di vescovo di Roma.
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