Quando domani tornerà a Roma, dopo quasi una settimana trascorsa in Africa, Benedetto XVI avrà solo l’imbarazzo della scelta a riempire un ipotetico album dei ricordi con le istantanee più belle di questo suo primo viaggio nel continente nero. Foto e filmati raccontano infatti di un’accoglienza che definire calorosa è davvero troppo poco. E ovunque sia passata, la papamobile ha fatto fatica ad avanzare tra due ali di folla entusiasta e un affetto tanto intenso, che gli stessi organizzatori della visita non hanno esitato a definirlo «superiore ad ogni più ottimistica aspettativa». Emblematica la scena che si è presentata ieri mattina agli occhi del Papa. Quando è uscito dalla nunziatura di Luanda, per recarsi nella parrocchia di Sao Paulo dove avrebbe celebrato la Messa, ha trovato sulla strada davanti al cancello un vero e proprio tappeto umano, formato di ragazzi e ragazze stesi per terra. Erano lì da oltre un’ora e, incuranti del sole a picco, con le loro magliette disegnavano una rosa. In pratica la stessa tecnica che i tifosi degli stadi usano per le scenografie a sostegno della squadra del cuore. Nel cuore degli africani questo Papa che – per usare una sua bella espressione di ieri – ha «lineamenti un po’ diversi» da quelli di Giovanni Paolo II, ma «lo stesso amore», è già entrato alla grande. Proprio come il suo predecessore. E l’abbraccio con cui quei ragazzi hanno poi stretto il Pontefice che, dopo averli rialzati, si è fermato a lungo a ringraziarli e a benedirli, sta lì a testimoniarlo. In miniatura l’episodio riproduce il grande abbraccio di Yaoundé e di Luanda, del Camerun e dell’Angola, che rappresentano davvero in questi giorni tutta l’Africa. Ora dopo ora, man mano che il viaggio avanza verso la sua conclusione, sempre nuovi episodi si aggiungono a dare l’idea della grandezza del feeling sbocciato – proprio come una rosa – sulle strade toccate dall’itinerario papale. Rimarranno ad esempio certamente indelebili le immagini dei 30 chilometri tra l’aeroporto e il centro della capitale del Camerun ininterrottamente costeggiati sull’uno e sull’altro lato da una catena di uomini, donne e bambini da ore in paziente attesa dell’arrivo del Pontefice. Rimarrà la commozione e la felicità dei malati (anche di Aids) del Centro Cardinal Paul Emile Léger nel ricevere la carezza del Papa. E sarà difficile cancellare anche l’impressione suscitata dai due stadi di Yaoundé e Luanda, gremiti come e più che per una partita di calcio, da decine di migliaia di fedeli capaci di esprimere la propria fede con i tipici canti e balli locali, ma anche con il silenzio assoluto al momento della preghiera eucaristica o dei discorsi di Benedetto XVI. Così non stupisce che diversi siano stati in questi giorni anche i fuori programma. L’incontro con i Pigmei Baka, che gli hanno donato una tartaruga, simbolo di saggezza; il Papa che fa fermare l’auto (è successo ieri mattina a Luanda) per scendere a salutare un gruppo di fedeli davanti al sagrato di una parrocchia sulla via del ritorno in nunziatura; l’affaccio (venerdì sera) al balcone della stessa nunziatura per augurare la buona notte ai giovani che sfilavano sotto le sue finestre durante la processione con le fiaccole che ha preparato l’incontro di ieri nello Stadio dos Coquieros. E forse è proprio questa l’immagine che ha sorpreso più di tutte. Luanda trasformata nottetempo in una grande Lourdes, e attraversata da un autentico fiume di persone in preghiera. Centomila, forse di più. Nel cuore di una metropoli che in pochi anni è passata da 500mila a tre milioni di abitanti; sui viali di quel porto (circondato dai palazzi di stile coloniale e assediato dalle petroliere in rada), in cui sono passati nei secoli scorsi la disperazione degli schiavi deportati e il latrocinio delle materie prime depredate; al centro di una nazione che dopo una lunga guerra civile vive una difficile transizione verso lo sviluppo e la vera democrazia, rischiando però di consegnarsi a nuovi colonizzatori economici. L’Africa in un certo senso riparte da qui e dalle migliaia e migliaia di fiammelle accese nella notte a simboleggiare vita, fede, speranza. Sapendo di poter contare su un nuovo amico. Benedetto XVI che, nel nome di Cristo, all’abbraccio del continente si è consegnato senza riserve.