L’alba di gennaio si alza dentro un velo di nebbia. Inconsueta la nebbia, sul Colonnato: smarrisce un po’ quel biancore, e i pellegrini, intabarrati nelle sciarpe, hanno freddo. Il freddo, anche, di chi ha dormito male sui pullman, venendo da lontano. Nel colmo dell’inverno, venuti per l’addio a un uomo amato e molto anziano: e sembra tutto così algido questa mattina presto, in San Pietro. Ma, dice una pellegrina da Firenze ai microfoni della Rai, «Oggi, è una festa. Lui è andato diritto in Paradiso». E lo dice sorridendo, sfrontatamente certa. Questa nebbia trasfigura, e lascia correre la memoria. In questa stessa piazza il leonino «Non abbiate paura!» di Giovanni Paolo II, tanti anni fa. E, aprile 2005, il pianto dei giovani che lo avevano amato, venuti da lontano – era un’alba, anche allora. Habemus Papam, poi, di nuovo, e il timido sorriso di Ratzinger, fra le ovazioni. Per otto anni fu nostro padre. Ma improvvisa, a febbraio 2013, la rinuncia: « Ingravescente aetate..»
E il 28 febbraio, in un sole già di primavera, quell’elicottero nel cielo di Roma, il suo fragore cupo di pale: il Papa se ne andava. In quanti di noi, lo sgomento. Quasi finisse il mondo. Ma è questa nebbia che suggestiona, e allontana dal presente. Ora Benedetto XVI, Papa emerito, è morto. Dieci anni di silenzio mediatico, ma com’è che questa piazza si va affollando di una grandissima folla? Non ci dicono che chi è fuori dal web non esiste? Eppure affetto e una fedeltà tenace stanno scritti sulle facce del popolo in San Pietro. Moltissimi i giovani – che belle facce, serie e assorte, hanno. Il Vangelo è aperto sulla bara– il Vangelo fulcro, per Benedetto, di tutta la vita. Dalla nascita, nel Sabato Santo del 1927 in Baviera, all’ultima mattina del 2022. Un mondo, un secolo intero, e che secolo. Il professore di Ratisbona divenne Papa. E spiegò a molti, andati lontani dalla fede nel dominio della secolarizzazione, che ragione e fede non si contraddicevano. Quanto, in tanti, amammo questo Papa anche per questo suo rileggerci la nostra storia. Le dimissioni? Per molti fu un abbandono, quell’incredibile rombo di pale sopra Roma. Qualcuno faticò a perdonarlo. Ma, dieci anni dopo, la Chiesa vive. Francesco, venuto «dalla fine del mondo», le ha impresso un passo di rivoluzione. Noi, siamo qui ancora, in questa piazza. « Pax vobis».
La voce di Francesco nell’età avanzata è ancora forte, e il latino del confiteor abbraccia il popolo come una lingua materna, come ascoltata e entrata nel sangue prima di poterla capire. E questa folla che viene dalla Germania, dall’Africa e dal Brasile, bianchi, neri, ragazzi, vecchi. La Chiesa è qui per congedarsi da un grande cristiano. Non ci ha abbandonato: le parole nei suoi libri sono limpide come cristallo. «Che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce », è l’ultima benedizione di Francesco. Ora s’avvia, la bara di cipresso, verso le Grotte vaticane, dove la chiuderanno in una cassa di zinco, e poi in un’altra ancora, di legno. Come sono cupe, pensi, le apparenze della morte: coperchi sigillati, fosse, lapidi, gelidi marmi. Le apparenze della morte. Eppure, per noi cristiani la morte è il dies natalis. E Benedetto, nel 2012 a Bresso, Milano, Incontro con le famiglie, rispose a Cat Tien, bambina vietnamita: «Per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia». In questo senso, aggiunse, Benedetto pensava alla morte come a un «tornare a casa». A Casa, con la c maiuscola. E allora la tristezza dei riti della morte sbiadisce nel ricordo di quelle candide, sicure parole a Bresso. Poi, il feretro pesa sopra le spalle dei sediari vaticani, verso il portone della Basilica.
Qui lo attende il Papa. In piedi appoggiato al bastone. Benedice e poggia la mano destra sulla bara. Non è un tocco formale, e nemmeno una semplice carezza: la mano di Francesco si appoggia proprio sul feretro e ci resta qualche secondo, come se il Papa vi si sorreggesse. Lo guardi, e tante voci di contrasti o incomprensioni fra quei due perdono di rilevanza. Sia pure, chissà: ma un legame ben più grande e radicale univa quegli uomini. E anche in chi stava a guardare, in quel gesto, come uno sgorgare di acqua chiara: di pietà e di perdono, di un’ansia di bene che, spesso taciuta, tuttavia vive in noi. Che avesse ragione quella pellegrina di Firenze? Forse, ieri, altrove c’era festa.