Ieri a Cracovia intervenendo, con il rabbino Rosen, a una conferenza internazionale sull’attualità del dialogo, il cardinale ha sottolineato l’assoluta continuità tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II DI LUIGI GENINAZZI I nsieme, cattolici ed ebrei, «devono essere i custodi della memoria » dopo la tragedia della Shoah. Lo ha detto ieri mattina il cardinale Stanislaw Dziwisz aprendo a Cracovia, insieme con il rabbino David Rosen, la Conferenza internazionale promossa dal Centro gesuita per la cultura con il titolo «Il dialogo tra cattolici ed ebrei: da dove veniamo e dove dobbiamo andare». Una messa a punto quanto mai utile dopo le recenti polemiche seguite alle dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano Williamson. Dal canto suo, con un discorso for- te e coraggioso, l’arcivescovo di Cracovia ha voluto subito fare chiarezza sui rapporti con l’ebraismo. «Siamo come fratelli che si sono ritrovati dopo lungo tempo – ha detto ricordando le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nel corso della sua storica visita alla sinagoga di Roma nel 1986 –. È la situazione in cui ci troviamo oggi. Dal momento che ci siamo ritrovati solo di recente sappiamo troppo poco l’uno dell’altro, ci fidiamo reciprocamente troppo poco». L’ex segretario di Wojtyla ha voluto sottolineare l’assoluta continuità tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ed a questo proposito ha citato il discorso con cui Papa Ratzinger, dieci giorni fa, si è rivolto ai rappresentanti delle organizzazioni ebraiche dichiarando che «la memoria della Shoah rafforza la nostra determinazione a sanare le ferite che per troppo tempo hanno deturpato le relazioni tra cristiani ed ebrei». Un compito che riguarda tutti i credenti, in modo particolare «i figli e le figlie della terra polacca» dove per secoli gli ebrei sono stati accolti e protetti, mentre in tutta Europa venivano cacciati o rinchiusi in ghetti, ma anche la terra dove, sotto l’occupazione nazista, si è realizzato «il male incommensurabile» della Shoah. Il cardinale Dziwisz ne ripercorre la storia, dai tempi felici di re Casimiro alla tragedia immane di Auschwitz, richiamando l’antica tradizione di tolleranza per vincere i fantasmi dell’odio e della violenza «in questi tempi di crisi, con il mondo che ancora una volta è minacciato dal ritorno degli egoismi nazionali». Ricorda la lettera scritta dai vescovi polacchi nel 1995, una pietra miliare nel dialogo con l’ebraismo, un messaggio dove la Chiesa polacca chiedeva perdono per gli episodi di antisemitismo commessi anche dai suoi connazionali. «Abbiamo bisogno – spiega l’arcivescovo di Cracovia – di grande coraggio, di determinazione e di saggezza perché gli errori commessi da singoli o da gruppi non rallentino la creazione di una nuova fraternità». L’invito ai «frateli maggiori» è quello di non cedere mai alla tentazione d’interrompere il dialogo, «contando sulle tante persone di buona volontà che si sentono esse stesse offese da dichiarazioni o azioni di alcuni compagni di fede». La strada verso la piena riconciliazione è tracciata e proprio per questo, dice il cardinale Dziwisz, «notiamo con vergogna che, nonostante gli insegnamenti molto chiari dei recenti Pontefici sui rapporti tra cattolici ed ebrei, qualcuno tra noi non riesce a vincere pregiudizi, inveterati risentimenti e dannosi stereotipi». Non è una questione da poco, ribadisce il porporato che è stato per quarant’anni a fianco di Karol Wojtyla e gli è succeduto sulla cattedra del Wawel. È un problema che tocca direttamente «la nostra responsabilità per l’immagine della Chiesa agli occhi delle giovani generazioni: dobbiamo continuare ad opporci ad ogni manifestazione di antisemitismo che Giovanni Paolo II non esitò a bollare come peccato». Su questa strada, ha concluso il cardinale, «non possiamo fare alcun passo indietro, così come è stato indicato dal Concilio Vaticano II, riaffermato chiaramente dai Papi successivi e ribadito ancora una volta da Benedetto XVI».