sabato 7 febbraio 2009
Da martedì in libreria il ritratto del «padre» di Cl scritto da un testimone d’eccezione: Massimo Camisasca Con testi ancora inediti il libro mette in luce l’intuizione precoce dell’«emergenza educativa» e di una nuova pedagogia cristiana
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Nell’omelia del funerale nel Duomo di Milano, il 24 febbraio 2005, l’allora car­dinale Ratzinger usò questa e­spressione: era un uomo «ferito dal desiderio della bellezza». Quattro anni dopo la morte di don Luigi Giussani uno di quelli che gli furo­no più a lungo vicini, don Massimo Camisasca, fondatore della Frater­nità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo, parte da qui per una 'biografia spirituale' del fondatore di Comunione e Libera­zione. Don Giussani. La sua espe­rienza dell’uomo e di Dio (San Pao­lo) è l’itinerario del pensiero del sa­cerdote lombardo, da quando a 14 anni in seminario recitava come preghiere di ringraziamento, fra l’inquietudine dei superiori, le poesie di Leopardi, agli anni di Gs, all’allargarsi in decine di Paesi della Fraternità di Cl, alla morte. Camisasca scrive anche e forse pri­ma di tutto per chi conosce poco Giussani, ma, anche, ricostruisce, grazie alla lettura di testi ancora i­nediti, la parabola del suo pensie­ro. Quel desiderio ferito di una Bel­lezza non da poco, anzi della Bel­lezza assoluta, procede, dice, in Giussani attraver­so una ragione in grado di ricono­scere nel bello la strada della ve­rità, e dunque in­fine del Verbo stesso. Il giovane sacerdote ne era certo: «La vita si muove solo per una passione, e una passione si muove solo per u­na bellezza incontrata». Quando sale per la prima volta le scale del Liceo Berchet di Milano, dove rinunciando alla teologia ini­zierà la sua opera educativa, si è già accorto che per molti ragazzi in quegli anni Cinquanta il cristiane­simo non è più 'interessante'. Oc­corre ripresentarlo vivo e operante, qui e ora, esattamente come al tempo degli Apostoli. E questo contro, sottolinea Camisasca, il lai­cismo che avanza, e pretende che non esista alcuna verità; e contro, anche, l’autoritarismo che segnava allora la trasmissione educativa. Giussani capisce che le nuove ge­nerazioni non aderiranno a ciò che è semplicemente imposizione di un’eredità del passato. Vogliono di più: ragioni verificate nella concre­tezza quotidiana. Sarà, la battaglia per un rinnovamento dell’educa­zione cristiana, appassionata, e non priva di incomprensioni all’in­terno della stessa Chiesa. E sfidata poi dagli anni tumultuosi della contestazione, quando non pochi dei primi che avevano seguito Gio­ventù Studentesca prendono altre strade. Il rischio educativo e poi Il senso re­ligioso, tradotto in tutto il mondo, segnano il fulcro della passione u­mana e cristiana di Giussani: nel­l’ansia di riscoprire, quasi far rie­mergere la domanda originale di felicità dell’uomo, e di mostrare u­na risposta che sia, di tale doman­da, all’altezza. Osando affermare – tesi scandalosa in anni in cui 'pa­dre 'e 'obbedienza' erano diven­tati parole impronunciabili – che il vertice della ragione sta proprio nel riconoscimento della dipendenza da Dio, e che nel seguirne il dise­gno, dunque in una obbedienza, è la strada per una felicità piena. Controcorrente è una pedagogia che pure non inventa nulla, ma ri­scopre, come un tesoro ossidato dal tempo nella lucentezza, la grande tradizione cristiana, da A­gostino ad Ambrogio attraverso Mölher e Scheeben fino a Guardi­ni. Con un tenace attaccamento – che Camisasca attribuisce anche al padre di Giussani, operaio sociali­sta – alla ragione e alla realtà, da osservare per come è e non in un pregiudizio ideologico. Quella realtà che Giussani, come nella tra­dizione del cristianesimo medioe­vale, insiste essere 'segno', simbo­lo che rimanda, sempre, ad altro – ad un Altro. L’autore annota che nel ’88, parec­chio prima che si cominciasse a parlare di 'emer­genza educativa', già il padre di Cl vede una genera­zione che «non riesce più a co­gliere la promessa che è contenuta nelle cose, a sta­bilire un rapporto fra le proprie atte­se più profonde e i segni che Dio ha disseminato nel mondo. Vive spesso solo a livello di reazione superficiale (..) Il potere fa le veci di padre e madre, e in ulti­ma analisi, fa le veci di Dio». Uno che vedeva lontano e profeti­camente, prima degli altri, è l’uo­mo che emerge dal libro di Cami­sasca. Un pessimista allora? Asso­lutamente no. «Negli ultimi anni di vita la sua parola – scrive – «sgorga dallo stupore per l’Incarnazione». Che la salvezza sia passata per il sì di una donna lo commuove, e la maternità di Maria, dice, «è un a­bisso ». Il cammino umano del pre­te appassionato, polemico, profon­damente 'dentro' le passioni degli uomini, volge verso la fine in uno sguardo sbalordito e grato alla mi­sericordia di Dio. «Abbiamo a esse­re misericordiosi, a avere miseri­cordia gli uni verso gli altri.. Di fronte a tutti i peccati della Terra sarebbe ovvio dire: Dio distrugga un mondo così! Invece Dio muore per un mondo così, diventa uomo e muore fra gli uomini, tanto che questa misericordia rappresenta il senso ultimo del Mistero».
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