Nell’omelia del funerale nel Duomo di Milano, il 24 febbraio 2005, l’allora cardinale Ratzinger usò questa espressione: era un uomo «ferito dal desiderio della bellezza». Quattro anni dopo la morte di don Luigi Giussani uno di quelli che gli furono più a lungo vicini, don Massimo Camisasca, fondatore della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo, parte da qui per una 'biografia spirituale' del fondatore di Comunione e Liberazione. Don Giussani. La sua esperienza dell’uomo e di Dio (San Paolo) è l’itinerario del pensiero del sacerdote lombardo, da quando a 14 anni in seminario recitava come preghiere di ringraziamento, fra l’inquietudine dei superiori, le poesie di Leopardi, agli anni di Gs, all’allargarsi in decine di Paesi della Fraternità di Cl, alla morte. Camisasca scrive anche e forse prima di tutto per chi conosce poco Giussani, ma, anche, ricostruisce, grazie alla lettura di testi ancora inediti, la parabola del suo pensiero. Quel desiderio ferito di una Bellezza non da poco, anzi della Bellezza assoluta, procede, dice, in Giussani attraverso una ragione in grado di riconoscere nel bello la strada della verità, e dunque infine del Verbo stesso. Il giovane sacerdote ne era certo: «La vita si muove solo per una passione, e una passione si muove solo per una bellezza incontrata». Quando sale per la prima volta le scale del Liceo Berchet di Milano, dove rinunciando alla teologia inizierà la sua opera educativa, si è già accorto che per molti ragazzi in quegli anni Cinquanta il cristianesimo non è più 'interessante'. Occorre ripresentarlo vivo e operante, qui e ora, esattamente come al tempo degli Apostoli. E questo contro, sottolinea Camisasca, il laicismo che avanza, e pretende che non esista alcuna verità; e contro, anche, l’autoritarismo che segnava allora la trasmissione educativa. Giussani capisce che le nuove generazioni non aderiranno a ciò che è semplicemente imposizione di un’eredità del passato. Vogliono di più: ragioni verificate nella concretezza quotidiana. Sarà, la battaglia per un rinnovamento dell’educazione cristiana, appassionata, e non priva di incomprensioni all’interno della stessa Chiesa. E sfidata poi dagli anni tumultuosi della contestazione, quando non pochi dei primi che avevano seguito Gioventù Studentesca prendono altre strade. Il rischio educativo e poi Il senso religioso, tradotto in tutto il mondo, segnano il fulcro della passione umana e cristiana di Giussani: nell’ansia di riscoprire, quasi far riemergere la domanda originale di felicità dell’uomo, e di mostrare una risposta che sia, di tale domanda, all’altezza. Osando affermare – tesi scandalosa in anni in cui 'padre 'e 'obbedienza' erano diventati parole impronunciabili – che il vertice della ragione sta proprio nel riconoscimento della dipendenza da Dio, e che nel seguirne il disegno, dunque in una obbedienza, è la strada per una felicità piena. Controcorrente è una pedagogia che pure non inventa nulla, ma riscopre, come un tesoro ossidato dal tempo nella lucentezza, la grande tradizione cristiana, da Agostino ad Ambrogio attraverso Mölher e Scheeben fino a Guardini. Con un tenace attaccamento – che Camisasca attribuisce anche al padre di Giussani, operaio socialista – alla ragione e alla realtà, da osservare per come è e non in un pregiudizio ideologico. Quella realtà che Giussani, come nella tradizione del cristianesimo medioevale, insiste essere 'segno', simbolo che rimanda, sempre, ad altro – ad un Altro. L’autore annota che nel ’88, parecchio prima che si cominciasse a parlare di 'emergenza educativa', già il padre di Cl vede una generazione che «non riesce più a cogliere la promessa che è contenuta nelle cose, a stabilire un rapporto fra le proprie attese più profonde e i segni che Dio ha disseminato nel mondo. Vive spesso solo a livello di reazione superficiale (..) Il potere fa le veci di padre e madre, e in ultima analisi, fa le veci di Dio». Uno che vedeva lontano e profeticamente, prima degli altri, è l’uomo che emerge dal libro di Camisasca. Un pessimista allora? Assolutamente no. «Negli ultimi anni di vita la sua parola – scrive – «sgorga dallo stupore per l’Incarnazione». Che la salvezza sia passata per il sì di una donna lo commuove, e la maternità di Maria, dice, «è un abisso ». Il cammino umano del prete appassionato, polemico, profondamente 'dentro' le passioni degli uomini, volge verso la fine in uno sguardo sbalordito e grato alla misericordia di Dio. «Abbiamo a essere misericordiosi, a avere misericordia gli uni verso gli altri.. Di fronte a tutti i peccati della Terra sarebbe ovvio dire: Dio distrugga un mondo così! Invece Dio muore per un mondo così, diventa uomo e muore fra gli uomini, tanto che questa misericordia rappresenta il senso ultimo del Mistero».