lunedì 27 maggio 2024
Martire del clima d'odio del regime, costretto a scavarsi la fossa, don Giuseppe Rossi fu ucciso a 33 anni nel 1945 dalle Brigate Nere
Don Giuseppe Rossi, il sacerdote della diocesi di Novara proclamato beato, con i  genitori e la sorella

Don Giuseppe Rossi, il sacerdote della diocesi di Novara proclamato beato, con i genitori e la sorella - .

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Nel pomeriggio di domenica 26 maggio 2024, in cattedrale e in diretta streaming in basilica di san Gaudenzio, è stato celebrato il rito di beatificazione di don Giuseppe Rossi. Una festa per l’intera comunità diocesana che vede concludersi l’iter di beatificazione del martire ucciso dai fascisti il 26 febbraio 1945.

Ha presieduto il cardinale prefetto del dicastero per le Cause dei Santi Marcello Semeraro, che ha dato lettura della Lettera Apostolica di papa Francesco. Hanno concelebrato il vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla, con il metropolita arcivescovo di Vercelli Marco Arnolfo, il Segretario del Dicastero Gianpaolo Rizzotti e circa 150 presbiteri. Presenti alla celebrazione 1500 fedeli provenienti da tutta la diocesi di Novara e la postulatrice della causa, Francesca Consolini.

Al termine della celebrazione, il Cancelliere vescovile don Fabrizio Poloni ha letto un messaggio alla comunità civile ed ecclesiale di Novara e del Vco del presidente Sergio Mattarella. Al termine il vescovo Franco Giulio è intervenuto per ringraziare il Signore per la beatificazione di don Rossi e per il dono della sua testimonianza e per esprimere la gratitudine a quanti hanno contribuito alla causa di beatificazione e all’organizzazione della celebrazione.

Un evento storico per la diocesi, culmine di un processo – iniziato nel 2002 con l’allora vescovo Renato Corti – lungo e dall’esito incerto fino all’ultimo. Un cammino durante il quale si è dovuto rendere evidente che don Rossi era davvero morto da martire e che chi lo uccise lo fece “in odio alla fede”.

Un passaggio complesso anche perché a Varallo Pombia, suo paese di origine, c’era una scuola intitolata a lui quale “martire della Resistenza”. Una dedica fatta in buona fede ma che metteva la sua vicenda in una luce del tutto differente. La diocesi è però riuscita con testimonianze e documenti storici a delineare esattamente le ragioni del suo assassinio. Tra questi anche un manifesto pubblicato da chi l’uccise e che può essere definito come la “certificazione” che don Rossi venne massacrato solo perché stava facendo il prete, rifiutandosi di fuggire come alcuni gli consigliavano di fare.

Prete fino alla fine, insomma. E per questo ucciso dai fascisti il 26 febbraio 1945 a 33 anni. Nelle terre in cui era parroco, Castiglione Ossola. Testimone del Vangelo al prezzo della propria vita, in profonda coerenza nella scelta di restare in mezzo alla sua gente. Una figura attualissima, tanto che l’intera giornata di fraternità sacerdotale di quest’anno è stata incentrare sula sua figura come modello per il presbiterio.

Padre Marco Canali, delegato vescovile per la causa di beatificazione, spiega che «nei suoi scritti e nelle sue prediche dimostra di essere un parroco “normale”, un termine da non intendere come “banale”. Era una persona che amava la scrittura e l’arte, si informava leggendo riviste come Vita e Pensiero. Sapeva leggere l’attualità ed era capace di espressioni coraggiose come quando in un’omelia face cenni pesantemente critici contro le leggi razziali».

Una mostra permanente è stata allestita a Castiglione. «Abbiamo allestito la casa dove è vissuto trasformandola in museo – spiega il parroco don Fabrizio Cammelli –. In essa presentiamo la figura di don Rossi, con arredi e i suoi libri e anche alcuni suoi oggetti personali come, ad esempio, i suoi occhiali, trovati mentre se ne cercava il corpo. Con la loro forma caratteristica sono quasi un simbolo della sua figura. Il museo mette in evidenza anche la storia e la società in cui è vissuto, con piccoli tesori della nostra comunità e uno sguardo sulla vita dalla vita comune della gente della valle».

Anche Varallo Pombia, dove è nato don Giuseppe Rossi il 3 novembre 1912, in una famiglia povera e religiosa, custodisce suoi ricordi «da noi è stato battezzato e ha celebrato la sua Messa. Anche se la sua casa – dice il parroco don Fausto Giromini – è oggi una dimora privata e i suoi resti, un tempo sepolti proprio nel nostro cimitero, sono oggi a Castiglione Ossola, la nostra comunità è molto legata a lui. La gente ne coltiva la memoria da sempre, con pellegrinaggi in piccoli gruppi nel paese dove è stato ucciso».

Entrato nel 1925 in Seminario, don Rossi fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1937. L’anno successivo divenne parroco a Castiglione Ossola, piccolo paese montano, dove svolse l’apostolato per circa sei anni. Qui si dedicò in particolare alla formazione dei giovani, alla direzione spirituale dell’Azione Cattolica femminile e delle Conferenze di San Vincenzo, all’assistenza dei poveri e malati. Scoppiata la seconda guerra mondiale, la Val d’Ossola divenne teatro di scontri tra partigiani e formazioni fasciste. Il 26 febbraio 1945 i militi della Brigata Nera Ravenna ebbero uno scontro con i partigiani accanto a Castiglione, riportando due morti e una ventina di feriti. Questo provocò un’immediata rappresaglia contro la popolazione, in cui furono bruciate delle case e vennero presi degli ostaggi, tra cui don Rossi, che però vennero rilasciati lo stesso giorno. Ritornato a casa, durante la cena, fu ripreso dai fascisti che lo portarono fuori il paese. Dopo essere stato costretto a scavarsi la fossa a mani nude, fu percosso, colpito alla testa con un masso che gli provocò lo sfondamento del cranio, quindi finito con una coltellata e un colpo di arma da fuoco.

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