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Ci sono anche sei martiri della fede tra gli otto nuovi beati che la Chiesa potrà presto onorare, di cui il Papa ha autorizzato la pubblicazione dei relativi decreti. Si tratta di sacerdoti e seminaristi che hanno testimoniano la propria fedeltà al Vangelo in situazioni difficili come la dittatura nazifascista, quella comunista e di guerriglia. Salgono agli onori degli altari grazie al riconoscimento di un miracolo per loro intercessione, il messicano padre Moisés Lira Serafìn, religioso dei Missionari dello Spirito Santo fondatore della Congregazione delle Missionarie della Carità di Maria Immacolata (1893-1950), e la monaca spagnola dell’Ordine delle carmelitane scalze Anna di Gesù (al secolo Anna de Lobera y Torres) (1545-1621). A loro si aggiungono anche tre nuovi venerabili, di cui sono state riconosciute le virtù eroiche: due sono italiani, tra cui padre Alberto Maria Beretta, fratello di santa Gianna Beretta Molla.
Quattro italiani tra i sei nuovi martiri
Dei sei nuovi martiri ben quattro sono italiani. Il primo citato nell’elenco diffuso dal Dicastero delle cause dei santi è don Giuseppe Rossi, sacerdote diocesano, parroco a Castiglione Ossola (Novara). Nato il 3 novembre 1912, fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1937 e inviato nella parrocchia come parroco. Dedicò molto del suo ministero alla cura dei giovani e dei poveri, in periodo difficile come quello della Seconda guerra mondiale e della guerra civile nel nord Italia. Venne ucciso dai fascisti per ritorsione a uno scontro a fuoco tra i partigiani e la Brigata Nera Ravenna il 26 febbraio 1945, in cui morirono due fascisti. Prima venne rastrellata la popolazione (donne, vecchi e bambini), che don Rossi non volle abbandonare. Liberati tutti in serata, dopo le 20 i fascisti tornarono in canonica e sequestrarono don Rossi di cui non si ebbero più notizie fino al ritrovamento del cadavere alcuni giorni dopo. Fu ripetutamente percosso, colpito alla testa con un masso di 7 chili, che gli provocò lo sfondamento del cranio, quindi finito con una coltellata e un colpo di arma da fuoco.
L'eccidio di saveriani nel 1964
Sono tre missionari saveriani altri tre nuovi martiri italiani: Luigi Carrara (1933-1964), Giovanni Didonè (1930-1964) e Vittorio Faccin (1934-1964), a cui si aggiunge il sacerdote diocesano dell’allora Congo Belga don Albert Joubert (1908-1964). Tutti e quattro vennero uccisi il 28 novembre 1964 nei pressi delle parrocchie in cui operavano: a Baraka e a Fizi. Nella prima località un commando dei ribelli all’allora governo congolese, si presentò da padre Faccin intimandogli di andare con loro. Al suo rifiuto venne ucciso con un colpo al petto. Padre Carrara che si trovava in chiesa uscì in soccorso e a sua volta si rifiutò si seguire, venendo ucciso mentre era in ginocchio presso il corpo del confratello morto. Il comandante del gruppo di ribelli colonnello Abedi Masanga decise di raggiungere Fisi dove si trovava l’altra missione dei saveriani e appena giuntovi uccise padre Didonè e don Joubert che si trovava con lui in canonica. La violenza dei Simba si era rivolta in quel periodo contro i religiosi e le religiose e contro la Chiesa in generale, mossi da un odio antireligioso.
Vittima del regime comunista
È invece vittima del regime comunista cecoslovacco l’ultimo dei martiri riconosciuti ufficialmente. Si tratta del seminarista slovacco della Società dei Missionari di San Vincenzo de’ Paoli, Jan Havlik (1928-1965). Iniziò il suo noviziato nel 1949 proprio agli albori del regime comunista sorto dopo la Seconda guerra mondiale in Cecoslovacchia. Arrestato nel 1953 venne sottoposto a 14 anni di durissima prigionia per “alto tradimento”, che compromisero irreparabilmente la sua salute. Venne rilasciato nel 1962 dopo aver scontato interamente la pena. Havlik visse gli ultimi tre anni della sua vita nel completo abbandono alla volontà di Dio e riconciliato anche con i suoi aguzzini verso i quali non espresse mai alcuna forma di risentimento.
Tre nuovi venerabili: un sacerdote e due laici
Come detto nell’elenco dei decreti autorizzati da papa Francesco, vi sono anche tre riguardanti il riconoscimento delle virtù eroiche di tre servi di Dio: padre Alberto Maria Beretta (al secolo Enrico Beretta) dei frati minori cappuccini (1916-2001), il laico guatemalteco Ernesto Guglielmo Cofino Ubico, padre di famiglia (1899-1991) e la laica italiana Francesca Lancellotti, madre di famiglia (1917-2008).
Padre Alberto Maria Beretta è uno dei fratelli di santa Gianna Beretta Molla, la dottoressa che rifiutò le cure per un tumore per non compromettere la gravidanza in corso. Settimo dei tredici figli di Alberto Beretta e Maria De Micheli, nasce a Milano (al secolo Enrico Beretta) e si laurea in Medicina, anche se la vocazione religiosa era ben presente. Nel 1948 diventa sacerdote e con i cappuccini d Milano si reca missionario in Brasile, dove metterà a frutto sia la vocazione francescana sia quella professionale di medico per ben 33 anni. Colpito da emorragia celebrale nel 1982 visse gli ultimi venti anni fortemente menomato nella parola e nei movimenti. Muore il 10 agosto 2001 a Bergamo.
È una sposa e madre di famiglia l’altra venerabile italiana, Francesca Lancellotti, nata a Oppido Lucano (Potenza) il 7 luglio 1917. Pur sentendosi chiamata alla vita religiosa, accettò l’imposizione del padre che la voleva sposa e madre. Anche dopo il matrimonio e la nascita di due figli, continuava a coltivare la vita spirituale. In molti si affidavano a lei per ricevere conforto e consiglio, la sua casa divenne un rifugio per quanti ricercavano pace. Nel 1960 con la famiglia si sposta a Roma e anche qui la sua casa divenne punto di riferimento per bisognosi materiali e spirituali. Muore a Roma il 4 settembre 2008.