Solo insieme le società pluralistiche e globalmente interconnesse della terra hanno un futuro. Se vogliamo evitare il clash of civilizations, lo scontro di civiltà, non esiste – né in Europa né altrove – alcuna alternativa a un dialogo sincero, franco e critico fra le religioni e le culture. Se la convivenza nella diversità è lo scopo da raggiungere, allora tutte le comunità religiose devono porsi queste domande: come bisogna concepire e mettere in atto la fede tramandata, i valori morali e la legge religiosa nel contesto di una società culturalmente e religiosamente pluralistica? Quali sono i mezzi adeguati per tradurre in pratica in essa i fini, i valori e le idee della propria religione? Per il dialogo con l’islam – che significa 'sottomissione totale a Dio' – tali domande sono quanto mai attuali. Pressoché nessuno contesterà che proprio in tale dialogo esistono molti ostacoli e vicoli ciechi. Ma è un fatto che il numero degli stati etnicamente, culturalmente e religiosamente omogenei diminuisce, anche nel mondo islamico. Neppure un paese come l’Arabia Saudita può oggi fare a meno di prendere sul serio la propria minoranza musulmana, gli shi’iti. E in essa, che si concepisce come la 'custode' dei due santuari islamici centrali, della Ka’ba a Makka/La Mecca e della tomba di Muhammad/Maometto a al-Madina/Medina, vive oggi oltre un milione di cristiani provenienti per lo più dalle Filippine e da altri paesi asiatici, cristiani che attendono ancor sempre il riconoscimento e la messa in pratica dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda il libero e pubblico esercizio della loro religione. I diritti dell’uomo sono la base di una convivenza pacifica e solidale. La questione dei diritti dell’uomo, non da ultimo la questione del diritto a una libertà religiosa positiva e negativa, non potranno più essere a lungo evitate neppure da influenti istituzioni accademiche del mondo islamico come, ad esempio, dall’università al-Azhar del Cairo o dalla Lega musulmana mondiale alla Mecca ( al-Rabita). Chi vuole soluzioni praticabili per i problemi posti dalla posizione eterogenea delle società moderne deve volere il dialogo. Il dialogo nel senso di una ricerca reciproca e faticosa di una convivenza giusta e armonica è la condizione della possibilità del dialogo specificamente interreligioso. Cristiani e musulmani – cioè quanti professano l’islam – si sanno chiamati dalle loro rispettive Sacre Scritture a essere 'testimoni della verità' gli uni verso gli altri e verso tutti gli uomini. Tanto più necessariamente bisogna perciò riconoscere che le differenze nell’immagine di Dio e nell’immagine dell’uomo delle due comunità religiose sono importanti. Inoltre cristiani e musulmani sono tra loro in contrasto non solo su questioni centrali della fede. Esistono anche problemi e divergenze pratiche. Così in non pochi Paesi a maggioranza musulmana i cristiani non possono esercitare pubblicamente la loro religione; esistono minacce di vario genere nel caso del passaggio a un’altra religione o dell’opzione in favore dell’areligiosità. E a loro volta i musulmani si vedono, in Paesi di tradizione cristiana con costituzioni secolari, sotto vari aspetti svantaggiati. Se la testimonianza della fede deve trovare ascolto e convincere, bisogna che le due parti siano percepite come sinceramente impegnate a trovare una soluzione soddisfacente a questi problemi attraverso uno scambio differenziato e una reciproca disamina. Attualmente udiamo qua e là – sia da parte dei credenti che da parte di critici secolari – affermazioni come questa: il dialogo non serve a niente, è solo una perdita di tempo. Tali affermazioni fanno soffrire non da ultimo coloro che da anni si sono impegnati per una migliore comprensione fra cristiani e musulmani. Ma quali prospettive e quali punti focali emergono nell’odierna fase del dialogo cristiano-islamico, fase caratterizzata da una nuova più sobria consapevolezza? Sul piano politico nel senso più ampio dell’espressione possiamo dire: tanto i cristiani quanto i musulmani sono parte della nostra società pluralistica. Occorre incoraggiare e accompagnare l’avviato processo della reciproca presa di conoscenza con molteplici iniziative. Queste dovrebbero coinvolgere il più possibile tutti i cittadini di buona volontà. Accanto all’informazione abbiamo naturalmente bisogno anche dell’autocritica a proposito delle nostre immagini semplificatrici o addirittura deformanti dell’altro. I cittadini cristiani dovrebbero prestar attenzione alle giustificate richieste dei musulmani nei vari campi della vita pubblica, dalla costruzione di moschee fino a un’adeguata regolamentazione della sepoltura. Inoltre bisognerebbe continuamente esaminare dove e in che modo cristiani e musulmani possono promuovere e tradurre in pratica insieme, nella loro responsabilità davanti al Creatore, valori e finalità sociali e bioetiche. Le questioni della convivenza e dell’etica sono importanti per cristiani e musulmani come credenti, ma non sono tutto. Anche le questioni, che hanno a che fare con contenuti della fede e con atteggiamenti religiosi, quindi il dialogo interreligioso nel senso vero e proprio dell’espressione, è importante. Di che si tratta in tale dialogo? Anzitutto esso si occupa dei punti in comune e delle diversità della rivelazione biblica e del Ku’r’an/ Corano, non da ultimo nell’orizzonte della moderna critica della religione. Un confronto approfondito delle rispettive rappresentazioni delle figure dei profeti nella Bibbia e nel Corano e di tutta la rispettiva dottrina circa il profetismo e la sua comparsa nella storia solleva la questione fondamentale della concezione della storia. Ben presto risulta una cosa: ebrei e cristiani sono qui affini, mentre i modelli fondamentali della dottrina cristiana e quelli della dottrina musulmana riguardanti i profeti sono sostanzialmente diversi. Del dialogo su questioni fondamentali della religione fa parte anche la problematica della violenza. In merito i cristiani dovranno di continuo evidenziare le tendenze alla violenza insite nella propria storia e nel proprio presente. Ma nello stesso tempo si chiede loro anche di mettere i loro interlocutori musulmani di fronte al fatto che, nell’odierna situazione mondiale, la violenza speciosamente motivata e legittimata in maniera religiosa si richiama in prevalenza all’islam. Tuttavia non si tratta affatto di sospettare in linea generale di violenza i musulmani e l’islam. Un complesso di temi d’importanza centrale per il dialogo cristianomusulmano riguarda la libertà religiosa e la costituzione dello Stato moderno. I diritti fondamentali e i diritti dell’uomo e, tra di essi, in particolare la libertà religiosa ben difficilmente possono dispiegarsi senza il riconoscimento e senza la salvaguardia dell’autonomia della religione nei confronti dello Stato, nonché dell’autonomia dello Stato nei confronti della religione. Un dialogo deve prendere seriamente il fatto che il mondo islamico, nel suo complesso non riesce ancora ad abituarsi bene all’idea della libertà religiosa e della libertà d’opinione e, quindi, a tutto il complesso dei diritti dell’uomo. A fianco il giurista Cesare Mirabelli, sulla sinistra il patriarca di Venezia Angelo Scola. In alto un’immagine della visita di Benedetto XVI alla Moschea Blu di Istanbul, nel 2006