martedì 28 febbraio 2023
Il presidente della Cei ha parlato alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma. Nel Cammino sinodale bene la fase dell’ascolto «perché eravamo poco abituati a farlo»
Il cardinale Matteo Zuppi alla Pontificia università della Santa Croce a Roma

Il cardinale Matteo Zuppi alla Pontificia università della Santa Croce a Roma - Siciliani

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La Chiesa «è comunione, che è molto di più della democrazia. Quando la Chiesa diventa democrazia, a mio parere si impoverisce». Il cardinale Matteo Zuppi lo dice senza mezzi termini nell’aula magna della Pontificia Università della Santa Croce, dove è stato invitato a parlare sul tema “La Chiesa in Italia: prospettive e sfide” e dove viene accolto dal rettore Luis Navarro e dal decano della Facoltà di teologia, Philip Goyret, davanti a una folta platea di docenti e allievi. Il ritratto che il presidente della Cei disegna è profondo, sincero e ironico allo stesso tempo. Ad esempio quando nota che bisogna stare attenti a parlare sempre e comunque di sinodalità, «che è una cosa seria, per non ridurla al classico prezzemolino ogni minestra». Il porporato insiste sulla Chiesa-comunione, grande eredità del Concilio Vaticano II, e da qui sviluppa anche il discorso sul cammino sinodale in corso nelle diocesi italiane.

«Per la Chiesa in Italia - dice, infatti, usando una immagine sicuramente suggestiva - è l’ora del conguaglio. In sostanza non si può più pensare che “tanto andiamo avanti così e poi si vedrà”. Adesso dobbiamo vedere. Faccio l’esempio di Bologna. Quando nel 1984 il cardinale Biffi diventò arcivescovo, disse: “Quella di Bologna è una grande e bella Chiesa, peccato che ci siano pochi sacerdoti”. E allora ce n’era il doppio di quanti ce ne sono adesso. Più di un terzo dei preti ora ha più di 75 anni e i parroci hanno tre, quattro, cinque parrocchie. Il nostro recordman ne ha 15». Come bisogna comportarsi? Il cardinale ricorda che da un lato è bene evitare “l’eutanasia” delle comunità parrocchiali, ma dall’altro «siamo contrari anche all’accanimento terapeutico».

Secondo Zuppi, c’è il rischio della «mania organizzativa. Diventiamo come impresari che devono accorpare le filiali. Ottimizzarle». Non è così. «Il Concilio - sottolinea il presidente della Cei - ci ha ricordato che la Chiesa è popolo di Dio e comunione. A mio parere se c’è una cosa del Concilio che abbiamo capito e praticato poco, perché molto impegnativa, è proprio la comunione. Magari abbiamo praticato più il protagonismo, l’originalità di ciascuno, ma se non c’è la comunione queste cose diventano divisive. Dobbiamo insistere sulla comunione e cioè che le nostre comunità siano familiari».

Per questo l’accento del porporato va sulla sinodalità «Che cosa significa e quali saranno i modi con cui cammineremo insieme clero e altre ministerialità (lo dico in senso lato). Speriamo di non capirlo in maniera geometrica e organizzativa, in maniera democratica, perché la Chiesa è molto di più della democrazia. La Chiesa è primato, collegialità e sinodalità e le tre dimensioni vanno insieme».

Il cardinale spiega quindi che anche per questo la Chiesa italiana ha scelto il cammino sinodale e non un Sinodo vero e proprio, con le sue regole. In questa prima fase, ricorda, «è stato un «cammino di ascolto. E se qualcuno chiede “ha funzionato?”, rispondo: “Sì, ma”. Forse ci siamo molto ascoltati tra di noi e poco i compagni di strada. Per esempio, ci sono stati molti gruppi sinodali sulle donne, anche severi per gli uomini (soprattutto se vescovi), sugli omosessuali, sul mondo del lavoro, spesso distante da noi. La prossima sarà la fase del discernimento e poi dobbiamo fare delle scelte. Ci sono - nota il presidente della Cei - molte attese sull’iniziazione cristiana, sulla forma di comunità. Che cos’è la parrocchia? Una volta c’era un prete per parrocchia e tutti i servizi. Oggi abbiamo spesso dei parroci con più parrocchie che corrono il rischio di diventare semplici officianti. E non è la stessa cosa».

Si pone dunque la questione dei ministeri e il ruolo dei laici. A proposito dei quali Zuppi sottolinea che non «sono i nuovi tappi per i buchi di prima». Ma in Italia, a parere del cardinale, «a livello di temperatura laicale siamo messi bene. Abbiamo tanti laici che amano la Chiesa. C’è tanta gratuità: persone che donano la vita e pochi operatori pastorali “professionisti”. Io spero che questo resti. E poi - nota - abbiamo risolto il problema del rapporto tra parrocchie e movimenti. In passato c’è stata qualche gelosia e il rischio di un certo parallelismo. E non faceva bene a nessuno. Negli anni è cresciuta la comunione, il senso di servizio pastorale, di comunicazione del Vangelo. Quando c’è la gratuità, si potrà trovare la valorizzazione dei carismi di tutti. Quelli istituiti e quelli non».

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