domenica 14 luglio 2024
Il segretario generale della Cei: l'Europa parli più di pace come chiede il nostro Consiglio dei giovani del Mediterraneo. Sulle riforme serve confronto e visione prospettica
L'apertura della Settimana sociale a Trieste. L'arcivescovo Giuseppe Baturi (a sinistra) e il cardinale Matteo Zuppi danno il benvenuto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

L'apertura della Settimana sociale a Trieste. L'arcivescovo Giuseppe Baturi (a sinistra) e il cardinale Matteo Zuppi danno il benvenuto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - Agenzia Romano Siciliani

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C’è voglia di partecipazione nel mondo cattolico che «ha l’ambizione di cambiare il volto della società», spiega il segretario generale della Cei, l’arcivescovo Giuseppe Baturi. Lo testimoniano i ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo, il “laboratorio di fraternità” voluto dalla Cei che torna a riunirsi a partire da ieri facendo arrivare in Italia da venti Paesi legati al grande mare trentaquattro “under 30” rappresentanti delle Chiese del bacino. E lo dice il “popolo” delle diocesi italiane che ha partecipato alla Settimana sociale di Trieste, a cominciare proprio dai giovani che sono stati fra i protagonisti. «L’amore politico, di cui ha parlato il Papa a Trieste, deriva da una fede che non può essere intimistica - afferma l’arcivescovo di Cagliari -. Per noi, è questione di carità, non di contributo a uno schieramento politico o a un altro. Oggi c’è un deficit di speranza. Ecco perché il nostro stare dentro la realtà ha come compito anche quello di organizzare la speranza. E tutto ciò avviene in forza della nostra adesione al Vangelo. Chi racchiude in schemi politici la ricchezza delle posizioni, a volte anche plurali com’è giusto che siano, del mondo cattolico, è come se sacrificasse il più».

L'arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei

L'arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei - Agenzia Romano Siciliani

Eccellenza, partiamo dal Consiglio del Mediterraneo. I giovani lanciano un appello di pace?

Di fronte agli orrori delle guerre e alle incertezze di questo momento storico, i giovani gridano la volontà di pace ma vogliono anche offrire strade percorribili. Lo scorso aprile il direttivo del Consiglio, accompagnato da una delegazione della Cei, ha fatto tappa nel Parlamento Europeo a Bruxelles in modo che il grido potesse essere ascoltato e divenire proposta. Adesso i giovani si rincontrano fra Roma e la Toscana per pregare, confrontarsi e definire indirizzi operativi su cinque ambiti: fede, comunità, dialogo, accoglienza e impegno civico.

I giovani cattolici e, per certi versi le Chiese, richiamano l’Europa a una responsabilità verso il Mediterraneo?

La richiamano anzitutto alla memoria delle proprie radici che sono radici di incontro e di pace. Lo slancio che ha unito i Paesi dopo la seconda guerra mondiale non deve attardarsi o inaridirsi in questioni burocratiche o meramente politiche. E poi avvertono che l’Europa non può non guardare al Mediterraneo, alle sue sponde, alle culture, ai popoli, alle religioni che sul grande mare si affacciano. Del resto la possibilità di dialogo nel Mediterraneo può contribuire alla pace anche in altre parti del mondo.

La delegazione del Consiglio dei giovani del Mediterraneo durante la visita al Parlamento Europeo a Bruxelles

La delegazione del Consiglio dei giovani del Mediterraneo durante la visita al Parlamento Europeo a Bruxelles - Avvenire

La Ue può fare di più per la pace?

L’Europa deve tradurre il tema della pace in progetto politico e diplomatico. La pace va rimessa al centro. Una pace che i giovani chiedono vada a braccetto con la libertà e con la giustizia e che non può essere ridotta a mero elemento di equilibrio. I ragazzi del Consiglio mostrano come l’essere parte di comunità nazionali, culturali o religiose non è motivo di esclusione dell’altro o di diffidenza. Bisogna coltivare vie di amicizia.

E va favorita l’accoglienza di chi bussa alle nostre porte.

Alcuni dei ragazzi del Consiglio hanno invitato anche dentro il Parlamento Europeo al dovere di una protezione nei confronti di quanti fuggono da guerre, situazioni ambientali drammatiche, discriminazioni. Il fenomeno migratorio va governato insieme ma a partire dal sentimento umano della solidarietà. Quando invece si assumono solo categorie politiche, c’è il rischio di restare insensibili alle sofferenze di una parte del mondo. Il Mediterraneo non può essere un cimitero, ma deve essere crocevia di incontro. Ciò vuol dire anche cogliere le ragioni delle migrazioni. Come ha sottolineato la Cei, serve assicurare e proteggere la libertà di partire ma anche quella di restare nelle terre d’origine o di tornarvi in una logica di sviluppo e sicurezza.

Anche a Trieste i giovani cattolici italiani riaffermano che intendono mettersi in gioco: nella Chiesa e nella vita civile.

È fondamentale ascoltarli. Mirano a una partecipazione, anche politica, che intreccia l’esperienza spirituale, l’amore per la Chiesa e la passione per l’uomo. Così la fede diventa fattore politico e promozione di una nuova civiltà.

La delegazione del Consiglio dei giovani del Mediterraneo con l'arcivescovo Giuseppe Baturi durante la visita al Parlamento Europeo a Bruxelles

La delegazione del Consiglio dei giovani del Mediterraneo con l'arcivescovo Giuseppe Baturi durante la visita al Parlamento Europeo a Bruxelles - Avvenire

Eppure è cresciuta l’onda dell’astensionismo nelle ultime tornate elettorali. Che cosa fare?

Anzitutto serve creare condizioni di fiducia. Quando mancano, anche per certe responsabilità politiche, la partecipazione viene meno. La ritengo una grande forma di denuncia. Poi è necessario educare: ossia, occorre diffondere una cultura del “prendersi cura” dell’altro. In questo senso la vita cristiana è una palestra di formazione sulla scorta del Buon Samaritano. Inoltre è opportuno incoraggiare la presenza dei corpi intermedi a favore del buon decorso della società: dalle famiglie alle parrocchie, dalle associazioni al terzo settore. Sfiducia e individualismo si combattono alimentando reti comunitarie in cui la donna e l’uomo possano essere accolti, accompagnati ad esempio nel momento del “fine vita”, sostenuti nella ricerca del lavoro, aiutati nella malattia.

Ma si parla anche di irrilevanza dei cattolici nella vita politica del Paese.

È cambiato il modello di presenza politica. Se la fede è davvero rilevante come lo è anche l’appartenenza ecclesiale, si traduce in ricerca del bene comune. Lo testimonia anche l’impegno cattolico in numerosi ambiti sociali: dalle reti educative a quelli della solidarietà che in questi anni sono essenziali per le famiglie. Soprattutto nelle aree interne del Paese dove si nota un arretramento delle istituzioni. Il problema è come la vivacità della base e la presenza culturale, educativa, solidale nella società possa ritrovare sbocchi politici. Un percorso che a Trieste è stato individuato chiaramente come imprescindibile.

A proposito dei piccoli paesi a rischio spopolamento o abbandono, la Chiesa italiana ne ha fatto una priorità. A Benevento martedì e mercoledì tornano a incontrarsi i vescovi di queste “periferie”.

Ci sta a cuore la dignità della nostra gente e quindi la qualità della vita. La Chiesa intende restare un presidio. Non è un caso che anche la comunità ecclesiale stia riflettendo su come rinnovare la sua presenza territoriale, anche attraverso la valorizzazione dei diversi ministeri, per continuare a essere vicino alle persone: nelle città o nelle aree più interne. Anche la politica dovrebbe fare altrettanto.

Il muro contro muro caratterizza l’attuale frangente politico. Vale anche per i cattolici?

I cattolici devono riconoscersi in principi condivisi. Il che implica una dinamica di incontro. La Costituzione è nata anche dall’iniziativa dei cattolici che hanno avuto l’ardire di dialogare con tutti. La partecipazione ecclesiale, quando è seria, provoca amicizia. Un’amicizia sociale in cui non viene meno la passione per la verità ma la si riconquista continuamente nello scambio con l’altro.

La Settimana sociale dei cattolici a Trieste

La Settimana sociale dei cattolici a Trieste - Agenzia Romano Siciliani

Si assiste a una divisione fra cattolici della morale e cattolici del sociale. Come sanare la “frattura”?

Anzitutto, recuperando l’idea che l’essere credenti non è un possesso, ma una ricerca. Il nostro compito è stare dentro lo sguardo che Cristo aveva verso le folle. In secondo luogo, pensando che l’unità fra di noi non è un’opzione a posteriori ma viene a priori. Di fronte al pluralismo è necessaria la coerenza rispetto a una scelta di fede. Pertanto è importante sapere integrare il proprio punto di vista con quello del fratello. Ma non può esserci divisione fra l’amore verso la vita nascente e quello allo straniero, per citare due esempi. Il bene dell’uomo è unitario.

Trieste rilancia l’urgenza di una democrazia condivisa. Come affrontare la stagione delle riforme?

Con uno sforzo di confronto. E soprattutto con uno sguardo sul futuro. Ciò significa non sacrificarlo alla miopia dei posizionamenti contingenti. E ai credenti chiediamo l’umiltà di sedersi intorno ai tavoli per dialogare.

L’autonomia differenziata?

Come Chiesa, abbiamo già espresso la nostra preoccupazione legata al fatto che il Paese ha bisogno di coesione. Abbiamo raccolto i timori di numerosi episcopati che invitano a coniugare solidarietà e sussidiarietà. Da cattolici ribadiamo che lo Stato deve organizzarsi in modo che la giusta autonomia non provochi strappi al tessuto unitario. Infatti non c’è sussidiarietà senza solidarietà; e non c’è solidarietà senza sussidiarietà. La sussidiarietà senza solidarietà diventa particolarismo; e la solidarietà senza sussidiarietà si traduce in assistenzialismo.


Il Consiglio dei giovani del Mediterraneo: in Italia gli ambasciatori di fraternità da venti Paesi e tre continenti


Torna a incontrarsi il Consiglio dei giovani del Mediterraneo composto da 34 ragazzi di tre continenti, Europa, Africa e Asia, che rappresentano le Chiese di venti Paesi affacciati sul grande mare. Un “Sinodo” tutto laico e under trenta voluto dalla Cei come lasciato dell’Incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo che nel 2022 avevano firmato la Carta di Firenze per fare del bacino una scuola di convivenza e amicizia fra i popoli e le religioni. Il Consiglio, che si è insediato nell’estate 2023 a Palazzo Vecchio, si è riunito ogni mese online. Da sabato 13 a sabato 20 luglio la nuova assemblea plenaria in Italia.

L'arcivescovo Giuseppe Baturi con uno dei ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo durante la visita al Parlamento Europeo a Bruxelles

L'arcivescovo Giuseppe Baturi con uno dei ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo durante la visita al Parlamento Europeo a Bruxelles - Avvenire

Domenica 14 luglio i giovani arriveranno nel Seminario di Fiesole dove lo scorso aprile è stata inaugurata la sede del Consiglio. Nell’agenda le sessioni di lavoro per varare una serie di progetti. Martedì la tappa in Vaticano per il dialogo con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Mercoledì i giovani incontreranno il governatore della Toscana, Eugenio Giani, e l’arcivescovo di Firenze, Gherardo Gambelli. Venerdì la visita al santuario della Verna per gli 800 anni delle stimmate di san Francesco. Ad accompagnare i ragazzi la Fondazione Giovanni Paolo II, la Fondazione Giorgio La Pira, l’Opera per la gioventù La Pira e il Centro internazionale studenti La Pira.

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