«Chiara è sempre con noi». E davvero non suona retorico il modo in cui Maria Voce, chiamata a succedere alla fondatrice dei Focolari, ricorda Chiara Lubich, a un anno dalla morte. «Niente ha il sapore del lutto», dice, raccontando come in tutto il mondo, a ogni livello, ci si prepari a ricordare questo anniversario: «Si avverte un clima di festa».
Lei è stata tra le più strette collaboratrici di Chiara Lubich in un lungo arco di tempo. Come la ricorda? Non posso non ricordare l’ultimo momento, quando sono andata a salutarla, il 13 marzo a sera già avanzata. Le ho sussurrato: «Chiara, noi veniamo con te». Sentivo che era una realtà, che non erano parole. E da quel momento questa comunione tra cielo e terra continua. La sento vivissima. A lei chiedo ogni giorno quel suo amore senza misura. Un amore attivo e fecondo che si faceva carico dei problemi, delle attese di ogni persona che incontrava. E nasceva sempre qualcosa di nuovo. Come quell’incontro con una signora divorziata che le dice: «Chiara, non fai niente per la nostra situazione?» . Ne parla con i responsabili di Famiglie Nuove e si apre un nuovo campo per i separati, per i divorziati. È capitato l’ultimo anno della sua vita. Ecco come ricordo Chiara: animata dal testamento di Gesù: «Tutti siano uno». Con un amore che abbracciava il mondo, cominciando dai più vicini. Ha sempre vissuto così. È così che ci ha insegnato ad allargare il cuore, a sfondare le barriere, ad andare incontro a chiunque con lo stesso amore, senza preconcetti.
Come è stato questo primo anno senza Chiara? Dopo quel che ho detto, capirà che a me, a noi, suonano quasi strane le espressioni: «senza Chiara» o «dopo Chiara». E non è un’esperienza solo personale, ma collettiva. Quanto Chiara ci ha detto in tutti questi anni, ci risuona adesso con una profondità senza precedenti e con un imperativo che ci chiama a vivere con sempre nuova radicalità. C’è una freschezza, una vitalità, un più maturo senso di responsabilità, Chiara continua a portare avanti la sua Opera secondo il disegno che Dio le ha fatto scoprire passo dopo passo qui in terra e che ora, dal cielo, ci aiuta ad attuare. Ci stiamo preparando al primo anniversario della conclusione del suo viaggio terreno. Da Cuba all’Iraq, dal Pakistan al Congo, dagli Stati Uniti all’India. Centinaia le iniziative nei cinque continenti per approfondire e continuare a vivere la sua eredità: iniziative liturgiche, presiedute da vescovi e cardinali, o culturali, a sfondo politico dove a prendere l’iniziativa sono i Parlamenti come in Brasile e qui in Italia, o personalità di primo piano in campo ecumenico, come il patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli.
La morte del fondatore è sempre un passaggio cruciale, sicuramente difficile. Chiara Lubich aveva in qualche modo preparato questo momento, ma quali sono stati i problemi maggiori da affrontare? Sì, Chiara aveva preparato questo momento da lungo tempo. Ne abbiamo preso coscienza quando abbiamo raccolto quanto negli anni aveva detto guardando al futuro, a quando lei non sarebbe stata più su questa terra. Ma sono certa che Chiara ha preparato questo passaggio cruciale innanzitutto pagando di persona. Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non può portare frutto. È legge del Vangelo. Poche parole, scritte a fatica, ci hanno fatto intravedere qualcosa di quell’abisso di buio che ha sperimentato nell’ultimo tratto della sua vita. Lo paragonava «al sole sceso all’orizzonte e tramontato per sempre». Chiara era configurata a chi aveva amato tutta la vita: Gesù che in croce giunge a gridare: «Dio mio perché mi hai abbandonato?». Quante volte ci aveva parlato di quel mistero d’amore e di dolore. Vi vedeva raffigurate «le doglie di un parto divino di noi tutti a figli di Dio». Ci indicava nell’amore esclusivo a Gesù abbandonato che vedeva nei mille gridi dei traumi e spaccature e conflitti del mondo, la chiamata ad una maternità capace di rigenerare e ricomporre in unità l’umanità. Si spiegano solo così la vitalità del Movimento proprio in questo momento cruciale, e i frutti copiosi, ma anche l’inaspettata eco della stampa mondiale, le affermazioni che giungono da più parti, a cominciare dalla voce di un monaco buddista davanti al suo feretro: «Chiara è anche nostra».
Dalla guida "carismatica" alla guida "condivisa", come è cambiato il dinamismo dei focolari? «Se dovessi lasciare in testamento un’eredità – aveva detto Chiara alla precedente assemblea generale del 2002 – lascerei a tutti: Gesù in mezzo a noi, frutto di questo carisma mariano». Ci ricordava che il carisma risiede nel «due o più» e ci chiedeva, prima di ogni altra cosa, di vivere l’amore scambievole con la misura del dare la vita per «generare » la Sua presenza, «perché ci guidi». E questo significa capacità di ascolto, di morire al proprio io, di spostare la propria idea, di entrare «nell’altro». Questo dinamismo, da sempre è il motore e il segreto dell’espansione della rivoluzione evangelica iniziata a Trento. È stato fissato da Chiara per sempre come la norma delle norme nella pagina introduttiva agli Statuti. Ma ora questo dinamismo si è intensificato. Sperimentiamo nuova luce e forza per portare avanti il movimento in questo «secondo periodo» che Chiara definiva come «tempo di crescita, di maturità », «tempo in cui tutto si svilupperà in estensione, tutto si moltiplicherà, e andrà anche in profondità».