Un colpo d’occhio ai nomi dei porporati e agli ambienti loro assegnati per le tradizionali «visite di calore» in Vaticano – l’Aula Paolo VI, la Sala Regia e la Sala Ducale del Palazzo Apostolico – già mercoledì evidenziava la sua assenza: poi confermata giovedì nell’Aula del Sinodo dal cardinale Sodano, decano del Collegio cardinalizio, che, tra gli applausi (anche di papa Francesco), ha definito Capovilla «il più venerando e anziano cardinale della Chiesa». Quando si ha quasi un secolo sulle spalle, non si possono sottovalutare gli inviti alla cautela dei medici: uno solo – nel caso del nostro – un geriatra assai apprezzato, nonché pronipote di Giovanni XXIII. Così, Capovilla, che ancora la scorsa settimana pareva intenzionato a raggiungere Roma confidando ad alcuni amici di aver chiesto per sé al Pontefice «un rito abbreviato», alla fine ha pregato papa Francesco di dispensarlo dal viaggio.
Diventerà cardinale oggi, quando si proclamerà il suo nome in Concistoro, mentre riceverà quasi certamente la berretta sabato 1° marzo, a Sotto il Monte, a pochi passi da Ca’ Maitino (la casa dei ricordi di papa Giovanni, dove vive dal 1989), nella chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista. Non vi è però al momento alcuna comunicazione ufficiale, anche se sul sito della diocesi di Bergamo per questa data, alle 16 proprio nella parrocchiale del paese natale di Roncalli – la stessa che il futuro Papa consacrò il 21 settembre 1929 quand’era visitatore apostolico in Bulgaria – è annunciata una cerimonia di ringraziamento. Né è ancora noto il nome di chi gli conferirà la berretta, né il titolo che riceverà (Roncalli ebbe quello di Santa Prisca, che ora è del cardinale americano Justin Francis Rigali).
L’ingresso nel Collegio cardinalizio di Capovilla ha guadagnato nei giorni scorsi l’attenzione della stampa internazionale e di molte televisioni straniere giunte per il Concistoro, che nelle loro registrazioni a Bergamo, hanno potuto documentare lucidità e capacità dialettica, ma anche l’attuale stato d’animo di questo sacerdote vissuto accanto a Roncalli prima a Venezia poi in Vaticano.
I motivi di questa 'trasferta mancata' sono decisamente di carattere precauzionale e sin dall’annuncio della sua elevazione al cardinalato Capovilla ha ritenuto di poter partecipare alla cerimonia. In ogni caso, per riprendere le sue parole in un’intervista apparsa su queste colonne quasi un anno fa, «conta la forza fisica, ma conta innanzitutto quella spirituale, interiore, la robustezza intellettuale: le gambe contano, ma di più la testa che ragiona e il cuore che ama». Difficile poi valutare il peso di altri motivi dietro questa decisione maturata nel tumulto dei sentimenti, delle emozioni, dei ricordi... E, stretta, da una parte, dal vivo desiderio più che di «videre Petrum», di abbracciarlo e di esprimergli gratitudine (anche a nome di tanti preti anziani da 'don Loris', per così dire, associati nella condivisione di quest’attenzione riservatagli dal vescovo di Roma). E, dall’altra parte, da forze fisiche spiegabili dal dato anagrafico.
A ciò va aggiunto che da anni ormai Capovilla non esce dal paese vivendo nel suo 'eremo' di tre stanze, circondato dalle premure delle Suore delle Poverelle, un 'eremo' però sempre rimasto aperto a chiunque abbia bussato: un luogo di solitudine e di lavoro, di silenzio fisico e interiore, di ascolto e direzione spirituale, ma anche una fucina di studio dove sono nati testi preziosi. Forse già disorientato dalla valanga di telefonate, lettere, sollecitazioni, messaggi, talvolta anche provenienti da persone assenti da anni nella sua lunghissima vita costellata di incontri, e forse intimorito a dover sostenere più che il viaggio, le torme di amici e conoscenti che a centinaia nelle scorse settimane gli avevano chiesto di 'accompagnarlo' in Vaticano per la porpora, alla fine don Loris ha fatto la sua scelta. Anche se non è detto che l’incontro con papa Francesco non possa trovare a breve un altro contesto.
Senza tornare troppo indietro nel tempo, non è però la prima volta, che un neocardinale viene dispensato dalla presenza in concistoro. Nel 1998, ad esempio, l’allora prefetto della Congregazione delle cause dei santi, Alberto Bovone, ricevette la berretta dalle mani del segretario di Stato Angelo Sodano al Policlinico Gemelli, dov’era ricoverato per una grave malattia: nel caso di Capovilla vale di più, però, il motto terenziano «senectus ipsa est morbus». E, come è noto, oltre che da legati papali, la porpora in passato è stata conferita anche da alcuni capi di Stato in virtù di antichi privilegi oggi caduti. Accadde pure al futuro Giovanni XXIII, creato cardinale da Pio XII mentre era nunzio apostolico a Parigi il 15 gennaio 1953, e al quale la berretta fu conferita – per un’ antico privilegio non più in vigore – dalle mani del presidente Auriol all’Eliseo. Lo stesso cerimoniale fu riservato nel 1958 a Giuseppe Fietta, fino a quel momento nunzio apostolico in Italia: fu il presidente Gronchi a imporgli la berretta in una cerimonia al Quirinale.
Oggi, dopo la consueta celebrazione all’alba nella cappella di Ca’ Maitino, insieme alle suore, Capovilla spera di riuscire a trascorrere la mattinata nel raccoglimento e nella preghiera. Forse tornerà a meditare sulle parole dell’«Adsumus del sesto Sinodo di Toledo»: la preghiera allo Spirito Santo declamata da Giovanni XXIII dopo la professione di fede all’avvio del Concilio e ripetuta all’inizio di ogni assemblea conciliare. O a riflettere sul «Patto per una Chiesa serva e povera», quello sottoscritto da una quarantina di Padri conciliari alle Catacombe di Domitilla prima della chiusura dell’assise. Due fra i testi che gli sono più cari. Poi chissà, magari uno sguardo alla cerimonia sul piccolo schermo davanti al tavolo dove lavora e consuma i pasti. Lo stesso dal quale, ascoltando l’«Angelus», il 12 gennaio scorso aveva appreso, senza esserne stato prima informato, il primo annuncio della sua creazione a cardinale, confidando a chi gli stava accanto, dopo istanti di stupore: «Un raggio di sole al tramonto della mia vita».