Il cardinale O'Malley - Archivio Fotogramma
Non si spegne l’eco della Lettera che martedì Benedetto XVI ha diffuso, insieme con una Analisi dei fatti, per rispondere alle accuse di comportamenti non corretti in merito alla protezione dei minori dagli abusi, tenuti al tempo in cui era arcivescovo di Monaco e Frisinga. Ieri alla Lettera ha fatto accenno anche papa Francesco durante l’udienza generale, pur non entrando nel merito dei fatti e soffermandosi sulle parole che riguardano la morte. Quanto scritto da Benedetto «è bello» e dobbiamo «ringraziare il Papa che ha questa lucidità a 95 anni di dirci questo». «Un bel consiglio che ci ha dato», ha aggiunto Francesco riferendosi alla fiducia in Dio espressa da Benedetto in vista del momento del trapasso. La citazione tuttavia suona come un ulteriore sostegno dopo che lo stesso Papa emerito lo aveva ringraziato nel testo della Lettera.
«La coscienza ci parla se siamo disposti ad ascoltare», ha notato sempre ieri in una dichiarazione il cardinale Seán Patrick O’Malley arcivescovo di Boston e presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori. «Il Papa emerito – ha aggiunto – ci ha fornito un’intima descrizione del dramma della sua coscienza modellata da una vita di servizio a Dio e al suo popolo. Il male sofferto dalle vittime di abusi sessuali su minori da parte di sacerdoti e religiosi e la sua gestione di tali abusi pesa giustamente e necessariamente sulla coscienza».
Ma la «sobria testimonianza» di Benedetto XVI indica anche che il riconoscimento del «danno irreparabile» causato dalla Chiesa e le mancanze nel prevenire tale danno, rappresentino una «sfida» per chi occupa ruoli di responsabilità oggi, affinché simili comportamenti non si ripetano.
Sulla stessa linea l’arcivescovo Vincenzo Paglia, ospite del programma TGtg su Tv2000. Nel definire «nobilissima» la Lettera del Papa emerito e ricordare che Joseph Ratzinger «è stato il primo tra i papi a denunciare questo terribile male», sottolinea: «Questa Lettera deve richiamare alla responsabilità di tutti, di tutta la Chiesa ma di tutta la società perché questa è una piaga universale. È uno scandalo che deve essere represso in ogni modo».
Ma su parte della stampa tedesca neanche le parole scaturite dal cuore del Papa emerito sono bastate e vengono commentate in alcuni casi con toni francamente deprimenti. Diverso il caso della Frankfurter Allgemeine Zeitung che sotto il titolo di prima pagina «Benedetto respinge le accuse» riconosce: «In effetti un comportamento riportato in modo sbagliato non è necessariamente una bugia».
In Italia invece non manca chi comincia anche a interrogarsi sul tipo di operazione che ha portato all’esplodere del caso. Lo storico Franco Cardini, intervistato da La Stampa, fa notare: «Il gesto di Ratzinger è degno di ammirazione». Ma «questo è un tempo che induce un po’ troppo alla facile pubblicizzazione del privato e non so quanto questo sia positivo, anche nella Chiesa [...]. Può pesare la pressione mediatica esplosa dopo il dossier di Monaco».
Anche il teologo Giuseppe Lorizio continua a mettere in guardia da quello che su Famiglia Cristiana definisce «il falso mito della trasparenza». «L’esposizione mediatica, la gogna come suol dirsi, anche del colpevole di efferati delitti (che vanno giustamente perseguiti a norma di legge), non può appartenere alla “grammatica dell’umano”, da più parti invocata, ma sempre più spesso disattesa».
Due voci che richiamano alla necessità di una riflessione, anche alla luce di quanto messo in evidenza martedì dall’Analisi dei fatti sulle accuse al Papa emerito. E che cioè quelle accuse erano state formulate sulla base di presunzioni più che di prove effettive.