Il cardinale Gualtiero Bassetti
Lunedì i dati Istat sulla denatalità che hanno segnato un nuova tappa verso quell’inverno demografico a lungo evocato e di cui ora facciamo esperienza concreta.
Martedì il Rapporto Cisf in cui, all’allarme dei dati, si è aggiunto quello della riflessione sociale e antropologica sulla frammentazione e sull’ibridazione della famiglia, con il profilarsi di un “post-familiare” in cui le dinamiche delle relazioni sono interpretate in modo sempre più variabile, progressivamente sganciate dai modelli istituzionali forti. E, accanto al Rapporto Cisf, è arrivato anche lo studio di "Lancet" con previsioni drammatiche, anche se a lunghissima scadenza, sul crollo della popolazione a livello mondiale, con conseguenze difficilmente immaginabili per la vita di tutti. Dati e analisi che sembrano segnare una svolta epocale o, come dice papa Francesco, un cambiamento d’epoca. Come se la nostra civiltà, che ha fatto del genoma familiare (dono, reciprocità, generazione e amore coniugale) un asse portante della sua identità e del suo sviluppo, fosse costretta a ripensarsi e a rivalutare alcuni tra i suoi fondamenti. Certo, la famiglia – proprio perché generativa per vocazione – ha al suo interno margini di rigenerazione che analisi e statistiche non possono intercettare. Indubitabile però che il sommarsi di tanti allarmi, da fonti comunque autorevoli, obblighi a interrogarsi. E questo intendiamo fare.
Definisce il calo delle nascite «una vera e propria emergenza italiana». E subito aggiunge: «Probabilmente è anche la più grande emergenza dell’Europa». Il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha fra le mani l’ultimo bilancio demografico dell’Istat, che, sommato ai dati diffusi dalla Commissione europea, «mette in luce un Paese sempre più vecchio. E lo stesso vale per l’intero continente». Una pausa. «Attraversiamo un lungo e temibile inverno demografico ma non si vedono purtroppo i segni di una prossima primavera – afferma l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve –. Come cittadino e come pastore sono preoccupato. Siamo di fronte a quella che ritengo a tutti gli effetti una crisi di civiltà. Alla radice si colloca un cambio di mentalità collettiva che ha mutato, fino a rovesciare completamente, la concezione della natalità: non più una ricchezza per i genitori e la società, bensì una causa di miseria, un impedimento al successo e, in alcuni casi, una fonte di angoscia». Al tema il cardinale dedica un’ampia riflessione pubblicata sul settimanale delle diocesi dell’Umbria “La Voce” all’interno della rubrica a sua firma “Il pane e la grazia”.
Eminenza, difficile concepire un domani senza nuove generazioni. La Penisola si brucia l’avvenire?
Giustamente, passata la fase acuta dell’emergenza coronavirus, si parla di ripartenza. Ma senza figli l’Italia non ha futuro. Si ipotizza che, se continuerà questa tendenza, il nostro Paese avrà fra un secolo metà dell’attuale popolazione. Di fronte a una società che si sta polverizzando e a un potere politico fragile, serve avere la consapevolezza che la nascita di un bambino è un dono per tutti e non un peso per pochi. Perciò, anche come comunità ecclesiale, dobbiamo tornare ad annunciare con semplicità, gioia e senza strumentalizzazioni politiche il Vangelo della vita. La Sacra Scrittura ci insegna che la nascita di un figlio è sempre una benedizione. Siamo consapevoli che crescere un ragazzo può essere faticoso, ma le difficoltà non hanno mai l’ultima parola. C’è bisogno di osare: in particolare quando si tratta della vita, il più grande dono che il Signore ci ha dato.
Le istituzioni devono sostenere le famiglie?
Lo ritengo uno degli impegni prioritari della politica. Da un lato, in molti ne hanno fatto uno slogan elettorale. Dall’altra parte, in troppi hanno del tutto dimenticato la famiglia. Vorrei però indicare quello che ritengo il punto di partenza.
Quale?
Il lavoro. Se manca il lavoro, una famiglia non può esprime tutte le potenzialità che la “piccola Chiesa domestica” racchiude in sé. E la crisi sanitaria che stiamo ancora vivendo si sta già trasformando in crisi economica. È improrogabile intervenire. Non posso continuare a sentire il grido disperato di padri e madri che hanno perso l’occupazione a causa del Covid, che non potranno riaprire la loro attività, che non si sono visti rinnovare un contratto anche se solo da precari.
La politica è tenuta a un supplemento d’attenzione?
Oggi esiste indubbiamente un problema di organizzazione politico-economica. Non è una questione di destra o di sinistra. Tutti, indipendentemente dall’appartenenza partitica, sono chiamati a trovarsi concordi nell’abbracciare le necessità delle famiglie.
È stato proposto l’assegno unico per i figli.
Non possiamo più scherzare o perdere tempo. Il nostro è un Paese in cui la spesa sociale per le famiglie è più bassa della media europea. Le misure di sostegno sono suddivise in numerosi bonus frammentati e l’assenza di incentivi adeguati frena le coppie che vorrebbero avere figli. Pertanto vanno messe a disposizione risorse. Vanno introdotti sgravi fiscali proporzionati al numero dei figli che giudico indispensabili. Comunque l’intera società deve essere a misura di famiglia. Penso agli asili, ai congedi parentali, agli sconti per l’istruzione, all’assistenza sanitaria, per citare qualche esempio. Di fatto, la famiglia ha urgenza di politiche affidabili e continuative. Allora dico: meno parole e più fatti. La Chiesa fa da sempre la sua parte con scuole, oratori, centri di aiuto alla vita, associazioni familiari e sarà sempre un’alleata di chi sostiene la famiglia.
Eppure ci sono realtà in controtendenza. Ad Arezzo si è registrato un baby boom: più 5,8% di nascite nell’ultimo anno.
Arezzo è terra che mi è particolarmente cara, in cui sono stato vescovo per oltre dieci anni. Dove si realizzano condizioni favorevoli, la risposta della nostra gente non tarda ad arrivare. Aggiungo che ad Arezzo l’associazionismo cattolico è sempre stato in prima linea sul fronte della vita e della famiglia.
La crisi demografica è una questione culturale?
In Italia, ma forse in tutto il mondo occidentale, la famiglia e i figli sono considerati nient’altro che un intralcio all’affermazione e all’autodeterminazione del singolo, un ostacolo alla carriera lavorativa e perfino all’arricchimento personale. Sono nato durante la seconda guerra mondiale in un mondo di macerie, poverissimo eppure ancora ricco di umanità. Un mondo che mi ha insegnato che il saper condividere è fonte di sviluppo e che la vita non è soltanto un mistero ma è anche sorgente di ricchezza. Una ricchezza talvolta immateriale, relazionale e morale. E una ricchezza concreta che implica uno scambio solidale tra le generazioni, una necessità di produzione, uno sviluppo dei consumi e un dinamismo economico.
Il Papa sollecita un patto fra le generazioni.
La “casa comune”, come scrive Francesco nella Laudato si’, ha bisogno del contributo di tutti. Giorgio La Pira, nel 1954, quando consegnò le chiavi delle prime abitazioni sulle rive dell’Arno a Firenze, espose tre concetti cruciali nel rapporto tra la “città” e la “casa”: in primo luogo, che ogni casa è una «badia» ovvero un «giardino che produce fiori e frutti»; in secondo luogo, che i bambini, ovvero i «germogli nuovi», devono essere «custoditi» come «la ricchezza suprema della città intera»; infine che gli anziani devono trovare «conforto sereno, e sereno, amoroso tramonto». Parole ancora attuali che rappresentano un deposito storico-culturale troppo frettolosamente messo ai margini e che tutti, a cominciare da chi ha ruoli decisionali, dovrebbero fare proprie.
Sul progetto di legge sull’omofobia, quale la sua posizione?
La mia posizione è chiara ed è quella che come episcopato italiano abbiamo già espresso. Guardando alle leggi in vigore, riteniamo che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio.